Attualità

Fotovoltaico: due studi del Consiglio Nazionale Notariato

Gli ultimi due lavori approvati dal Consiglio Nazionale del Notariato  riguardano i profili civilistici e fiscali della realizzazione di impianti fotovoltaici. L’incentivazione al ricorso e alla produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce uno dei temi centrali della politica internazionale e comunitaria in materia di protezione dell’ambiente:

• Alcune questioni civilistiche connesse alla realizzazione di un impianto fotovoltaico: prime note – Studio n. 221-2011/C

• Profili fiscali degli atti relativi agli impianti foto-voltaici – Studio n. 35-2011/T

Gli studi sono consultabili qui di seguito

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CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO

Studio n. 221-2011/C

Alcune questioni civilistiche connesse alla realizzazione di un impianto

fotovoltaico: prime note

Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 14 luglio 2011

Lo studio in sintesi (Abstract)

Sulla base dei criteri ermeneuti emersi in ambito dottrinale e giurisprudenziale in ordine alla distinzione tra beni mobili e immobili ai sensi dell’art. 812 c.c., appare corretto classificare le centrali fotovoltaiche (ovvero gli impianti di grandi dimensioni e di potenza complessivamente

superiori ai 20 kW) nella categoria dei beni immobili in quanto l’eventuale precarietà dell’elemento materiale dell’ancoraggio al suolo è compensata da considerazioni attinenti al profilo funzionale.

La messa in opera di un impianto di apprezzabili dimensioni, ivi compresa l’integrazione tra i diversi elementi e il loro allacciamento alla rete elettrica nazionale, lascia, infatti, presupporre un collegamento con il luogo in cui lo stesso è impiantato funzionale ad una duratura utilizzazione del bene in quel determinato posto.

Alla luce di tali considerazioni non residuano, pertanto, dubbi circa la configurabilità della costituzione del diritto di superficie di cui all’art. 952 c.c. quale strumento contrattuale “privilegiato” ai fini dell’acquisizione della disponibilità delle aree necessarie per la loro costruzione; ciò non escludendo, peraltro, la possibilità per di servirsi di strumenti contrattuali diversi (quali la locazione, il comodato, ed altre fattispecie obbligatorie anche atipiche), i quali in prima analisi appaio, tuttavia, più idonei alla realizzazione di interessi diversi rispetto a quello dell’acquisizione della disponibilità delle aree per la costruzione, ed essenzialmente legati al godimento statico di impianti già esistenti.

Ciò premesso, dunque, quella di stabilire se un determinato atto abbia ad oggetto la costituzione di un diritto di superficie ovvero una locazione (o altro atto a contenuto meramente obbligatorio) rappresenta una questione interpretativa, la cui soluzione richiede una valutazione analitica del complesso delle clausole e delle condizioni contrattuali da svolgersi sulla base dei canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e ss. c.c.

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Sommario: 1. Quadro normativo; 2. Natura mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici e nozione di “costruzione”; a. Distinzione tra beni mobili e immobili: generalità; b. Natura mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici; 3. Modalità contrattuali per l’acquisizione della disponibilità delle aree: criteri discretivi

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1. Quadro normativo

L’incentivazione al ricorso e alla produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce uno dei temi centrali della politica internazionale e comunitaria in materia di protezione dell’ambiente.

In ambito comunitario il principale atto normativo di riferimento è costituito dalla direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, di recente sostituita dalla direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009.

La regolamentazione interna è poi dettata dal d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, di attuazione della direttiva 2001/77/CE, come modificato e integrato dal d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 con cui è stata recepita la direttiva 2009/28/CE.

In attuazione di tali atti normativi sono, inoltre, stati adottati diversi decreti ministeriali, tra i quali si segnalano, per la loro particolare rilevanza nella regolamentazione del settore inerente all’energia fotovoltaica – che qui interessa in modo particolare – , i decreti ministeriali 28 luglio 2005, 6 febbraio 2006 (primo conto energia), 19 febbraio 2007 (secondo conto energia), 6 agosto 2010 (terzo conto energia) e 5 maggio 2011 (quarto conto energia), recanti “Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell’articolo 7 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387” e il d.m. 10 settembre 2010 recante “Linee guida per il procedimento di cui all’articolo 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”.

A tale quadro devono, poi, aggiungersi i diversi provvedimenti regionali adottati in conformità al comma 10 dell’art 12 del d.lgs. 387/2003, il quale attribuisce alle Regioni la facoltà di procedere all’indicazione di aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti, in attuazione delle linee guida adottate con il d. m. 10 settembre 2010 sopra citato.

In questa sede, lungi dall’intento di porre in essere una trattazione esaustiva della materia, in considerazione della sua complessità e pluralità di risvolti, ci si limiterà ad analizzare alcune

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questioni problematiche attinenti in modo particolare alle tecniche contrattuali praticabili al fine di acquisire la disponibilità delle aree su cui procedere all’installazione di un impianto fotovoltaico.

2. Natura mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici e nozione di “costruzione”

a. Distinzione tra beni mobili e immobili: generalità

Problematica fondamentale, da cui appare opportuno prendere le mosse, consiste nell’indagine circa la natura – mobiliare o immobiliare – degli impianti fotovoltaici.

La questione ha, tra l’altro, valenza quanto mai generale, venendo in rilievo in tutte le circostanze in cui si abbia riguardo ad un atto di disposizione avente ad oggetto tali impianti (1).

Com’è evidente, infatti, l’adozione dell’una o dell’altra soluzione comporta l’applicabilità di normative completamente diverse.

La nozione di “bene immobile” è dettata dall’art. 812 c.c., il quale dispone che “sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”. Al secondo comma è poi precisato che “sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione”. Tutti gli altri beni sono mobili.

Fondamentale, al fine di individuare la concreta portata di tale definizione, è, dunque, stabilire quando si realizzi l’unione anche transitoria o l’incorporazione artificiale che costituisce il presupposto per reputare immobili sotto il profilo giuridico beni che tali non sono sotto il profilo naturalistico.

Nell’ambito del catalogo “aperto” disposto dall’art. 812 c.c., infatti, mentre “il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua” sono ontologicamente e irreversibilmente immobili per effetto di fenomenologia naturale, tutti gli altri beni dell’elenco sono immobili in quanto siano uniti o incorporati al suolo per effetto o di fenomeno naturale o per opera dell’uomo (2).

Come evidenziato da autorevole dottrina, la giurisprudenza, nel pronunciarsi sulla ricorrenza o meno degli indici di immobilità descritti dalla legge, non è riuscita ad elaborare soluzioni sufficientemente univoche, talvolta reputando che la così detta “immobilizzazione” si realizzi anche in presenza di un’unione o di un’incorporazione del tutto instabile; altre volte, al contrario, ritenendo indispensabile che il bene, ad esito del processo di unione o di incorporazione, perda ogni autonomia sul piano fisico (3).

Si rammenta, in proposito, come alcune pronunce abbiano ravvisato la così detta immobilizzazione, ad esempio, rispetto agli stabilimenti balneari (4), alla rete metallica che recinge

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un fondo (5), ai serbatoi comunque incorporati al suolo (6), ai chioschi, alle baracche e alle capanne, ancorché non organicamente fissati al suolo (7) e tutte le volte che un bene sia incorporato al suolo mediante “paletti o tubolari metallici” (8). Da altre decisioni sembra, invece, emergere che un bene, per poter essere considerato immobile, debba unificarsi materialmente al suolo in modo tale che la cosa incorporata perda la sua individualità fisica e giuridica, tanto da rendersi impossibile una sua separazione senza la contemporanea dissoluzione e la sostanziale alterazione del tutto (9).

Sulla base della ricognizione effettuata dalla dottrina sopra citata appare, tuttavia, prevalere l’indirizzo propenso a ritenere che tra il bene e il suolo non debba sussistere un rapporto di unione o di incorporazione organica (10).

In senso conforme a tale conclusione, è stato osservato che, analizzando le pronunce giurisprudenziali e le posizioni della dottrina sull’identificazione della natura mobiliare o immobiliare dei beni nelle ipotesi dubbie, può ricavarsi “una convinzione comune, non apertamente dichiarata e quasi soffocata dall’ossequio ad una tradizione ormai lontana, che la legge consideri immobili le cose che possono essere utilizzate in relazione a un luogo determinato” (11).

La nozione restrittiva di bene immobile emersa in talune pronunce giurisprudenziali, cui si è fatto cenno, infatti, più che costituire interpretazione dei requisiti disposti dall’art. 812 c.c., apparirebbe piuttosto scaturire da un retaggio culturale legato ai criteri di distinzione tra beni immobili e mobili adottati dal codice civile del 1865.

Nell’impianto del vecchio codice, infatti – tralasciando le specifiche categorie dei beni immobili per destinazione e dei beni mobili per determinazione di legge – la distinzione tra beni immobili e mobili per natura era fondata essenzialmente sul criterio della concreta mobilità della cosa. Pertanto, da un lato l’art. 417 del codice abrogato sanciva che “sono mobili per loro natura le cose che possono trasportarsi da un luogo ad un altro, o si muovano per propria forza, come gli animali, o vengano mossi da forza esteriore, come le cose inanimate, ancorché tali cose formino collezione od oggetto di commercio”; dall’altro, secondo la giurisprudenza di legittimità vertente sul codice del 1865, una cosa mobile per trasformarsi in immobile per incorporazione doveva necessariamente divenire parte integrante materiale dell’immobile al quale veniva incorporata, sì da perdere, finché durava la situazione di fatto, la propria natura originaria, e da immedesimarsi con l’immobile al punto da non poterne essere asportata senza danno dell’immobile medesimo (12). Si tratta, tuttavia, di un criterio superato a seguito dell’entrata in vigore del codi ce del 1942.

Sulla base della lettura dell’art. 812 c.c. che appare, pertanto, preferibile andrebbero considerati immobili i beni suscettibili di utilizzazione permanente o almeno duratura nel luogo in

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cui si trovano, ovvero “quegli oggetti dei diritti la cui idoneità a realizzarne il contenuto implica una relazione funzionale con il luogo in cui si trovano” (13), a prescindere dal sistema di unione o incorporazione al suolo concretamente utilizzato.

A conferma del principio funzionalistico sotteso all’impostazione adottata dal vigente codice in sede di distinzione tra beni mobili e immobili si cita, inoltre, il secondo comma dell’art. 812 c.c., in base al quale “sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione”.

In questo caso, infatti, ferma restando la ricorrenza del dato materiale del collegamento del bene in questione (di per sé mobile) con il suolo, venendo, tuttavia, necessariamente a mancare un vero e proprio contatto fisico con lo stesso, si è data maggiore enfasi alla natura strumentale del legame con il suolo. Ove, pertanto, il dato materiale dell’incorporazione al suolo risulti essere più debole, e, dunque, non determinante di per sé, è stato lo stesso legislatore a fornire, quale chiave di lettura per apprezzare la rilevanza in concreto del collegamento materiale, il canone della connessione funzionale, in mode che l’immobilizzazione deve ritenersi comunque verificata nei casi in cui l’unione al suolo sia finalizzata al perseguimento di un certo scopo o di una certa utilità.

b. Natura mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici

Ciò premesso in ordine generale, e passando ad esaminare lo specifico caso degli impianti fotovoltaici, appaiono utili alcune puntualizzazioni.

Deve, in primo luogo, chiarirsi che sono impianti fotovoltaici, secondo la definizione datane dai decreti 19 febbraio 2007, 6 agosto 2010 e 5 maggio 2011, gli impianti di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare tramite l’effetto fotovoltaico, i quali sono composti principalmente da un insieme di moduli o pannelli fotovoltaici piani, uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e altri componenti elettrici minori.

Il problema della loro qualificazione come beni mobili o immobili è stato affrontato diverse volte in sede di applicazione della normativa fiscale.

L’Agenzia del Territorio con risoluzione n. 3/2008 del 6 novembre 2008, nell’affrontare la questione della corretta classificazione e determinazione della rendita catastale delle centrali elettriche a pannelli fotovoltaici, ha ritenuto poter fare riferimento per analogia alla prassi – ormai consolidata e suffragata anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (con sentenza n.

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16824 del 21 luglio 2006) – in merito alle turbine delle centrali elettriche, facendo pertanto rientrare anche questi impianti nella categoria D/1 – Opifici.

L’Agenzia del Territorio si riferisce in modo specifico agli impianti fotovoltaici di grande potenza (parchi fotovoltaici) realizzati allo scopo di produrre energia da immettere nella rete elettrica nazionale per la vendita. Tali impianti, unitamente all’immobile su cui insistono, costituirebbero un’unità immobiliare a sé stante (pertanto autonomamente censita in catasto), nella determinazione della cui rendita occorre tener conto anche dei pannelli fotovoltaici. Al contrario, non avrebbero autonoma rilevanza catastale, e costituirebbero semplici pertinenze delle unità immobiliari, le porzioni di fabbricato ospitanti impianti di produzione di energia aventi modesta potenza e destinati prevalentemente ai consumi domestici.

In senso diverso si era pronunciata, invece, l’Agenzia delle Entrate, secondo la quale un “impianto fotovoltaico situato su un terreno non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli fotovoltaici) possono essere agevolmente

rimossi e posizionati in un altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità (14)”. Inoltre, nella successiva circolare 11 aprile 2008, n. 38/E, l’Agenzia delle Entrate, in sede di interpretazione dell’art. 1, commi da 271 a 279 della legge n. 296/2006, relativo al credito di imposta per l’acquisizione di beni strumentali nuovi in aree svantaggiate, ha estensivamente interpretato il riferimento normativo agli impianti e macchinari “diversi da quelli infissi al suolo”, facendovi rientrare “in conformità a quanto contenuto nella circolare 46/E del 19 luglio 2007, emanata in relazione agli incentivi fiscali per gli impianti fotovoltaici, gli impianti e i macchinari che possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità”.

Nella circolare da ultimo menzionata è stato, poi, specificato che “ciò vale anche per i beni “stabilmente” e “definitivamente” incorporati al suolo, purché gli stessi possano essere rimossi e utilizzati per le medesime finalità senza “antieconomici” interventi di adattamento. Resta inteso che in taluni casi particolari la qualificazione dei beni quali impianti/macchinari “diversi da quelli infissi al suolo” potrà essere valutata, in concreto e sulla base di valutazioni oggettive, secondo criteri diversi da quelli menzionati che, con diretto riferimento alla specifica fattispecie, possano risultare maggiormente significativi”.

L’Agenzia delle Entrate ha, infine, ribadito le proprie affermazioni nella circolare 23 giugno 2010 n. 38/E, specificando che “si è in presenza di beni immobili quando non è possibile separare il bene mobile dall’immobile (terreno o fabbricato) senza alterare la funzionalità dello stesso o quando per riutilizzare il bene in un altro contesto con le medesime finalità debbono essere

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effettuati antieconomici interventi di adattamento”.

Alcuni margini di ripensamento in merito all’impostazione più volte sostenuta dall’Agenzia delle Entrate – e, pertanto, di avvicinamento alla posizione assunta dall’Agenzia del Territorio – appaiono, tuttavia, emergere, seppure indirettamente, dalla recente circolare 11 marzo 2011 n. 12 in tema di applicazione di imposta sostitutiva di cui all’art. 1, comma 16, della legge 220/2010 in presenza di contratti di leasing immobiliari in corso al 1° gennaio 2011, nell’ambito della quale l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che detta imposta si applica anche ai contratti di leasing stipulati per la realizzazione di impianti fotovoltaici.

Le conclusioni raggiunte nell’ambito della prassi ministeriale non forniscono, pertanto, una chiave di lettura univoca della questione e, in ogni caso, devono essere verificate in ambito civilistico sulla base dei criteri interpretativi dell’art. 812 c.c. sopra enunciati.

Premesso che l’indagine non può essere condotta in modo indifferenziato per tutti i tipi di impianto fotovoltaico, appare opportuno distinguere tra alcune possibili tipologie.

Un utile spunto può rinvenirsi nella classificazione operata dall’art. 2 del D.M. 19 febbraio 2007, il quale – seppure ai diversi fini di indicare le modalità per la determinazione delle tariffe incentivanti per la produzione di energia fotovoltaica in relazione agli impianti entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2008 – contiene una ricognizione piuttosto esauriente delle tipologie installative degli impianti attualmente più diffuse. Il decreto, in particolare, distingue tra impianti:

− non integrati (quando i moduli sono ubicati al suolo o collocati, con modalità diverse dalle tipologie di cui agli allegati 2 (15) e 3 (16) dello stesso decreto, sugli elementi di arredo urbano e viario, sulle superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione);

− parzialmente integrati (quando i moduli sono posizionati secondo le tipologie elencate in allegato 2, su elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione);

− con integrazione architettonica (quando i moduli sono integrati, secondo le tipologie elencate in allegato 3, in elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione).

E’, altresì, utile distinguere tra gli impianti fotovoltaici in isola (o “stand alone”) da quelli connessi alla rete (o “grid connected”).

Gli impianti in isola, e dunque non connessi alla rete elettrica, sono dotati di dispositivi di accumulo dell’energia prodotta e sono normalmente orientati non alla vendita dell’energia, bensì alla copertura del fabbisogno energetico del fabbricato. Nell’ambito degli impianti connessi alla

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rete, e dunque orientati anche (o soltanto) alla vendita dell’energia prodotta, invece, si può ulteriormente distinguere tra piccoli impianti fotovoltaici in rete e centrali fotovoltaiche. I primi sono impianti, generalmente di potenza non superiore a 20 kW, di norma istallati su immobili privati e che possono usufruire del servizio “Scambio energia alla pari” (Net-Metering); le centrali fotovoltaiche, invece, sono impianti di potenza superiore a 20 kW generalmente preordinate alla produzione di energia per la vendita.

Da un punto di vista urbanistico, l’art. 12 del d.lgs. 387/2003 prevede che “La costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad un’autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle provincie delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico – artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico” (comma 3). Tra gli atti di assenso che confluiscono nel procedimento unico, così come specificato nell’allegato 1 delle linee guida adottate, ai sensi del comma 10 dello stesso articolo, con D.M. 10 settembre 2010, è incluso il permesso di costruire di cui al d.p.r. 380/2001.

E’ successivamente specificato che “Il rilascio dell’autorizzazione costituisce titolo a costruire e esercitare l’impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere l’obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto (comma 4) (17).

Il comma. 5 dello stesso articolo prevede, infine, che “All’installazione degli impianti di fonte rinnovabile di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c) [taluni impianti alimentati da fonti rinnovabili programmabili e non programmabili] per i quali non è previsto il rilascio di alcuna autorizzazione, non si applicano le procedure di cui ai commi 3 e 4. Ai medesimi impianti, quando la capacità di generazione sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al presente decreto, con riferimento alla specifica fonte [20 kW per il fotovoltaico], si applica la disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni (18)”.

Nonostante alcune difficoltà interpretative derivanti dalla lettura della disposizione del par. 5 dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003 e dal suo coordinamento con la normativa edilizia (19), deve rilevarsi che: la realizzazione di una centrale fotovoltaica (e dunque di un impianto di potenza superiore a 20 kW) rappresenta un intervento di trasformazione del territorio subordinato al

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previo rilascio del permesso di costruire; appaiono, invece, realizzabili sulla base del procedimento previsto dagli artt. 22 ss. del T.U. edilizia, e dunque mediante DIA/SCIA, gli impianti di potenza inferiore a 20 kW, tanto che siano costruiti al suolo, quanto che si tratti di impianti integrati o parzialmente integrati, a meno che non rientrino nell’ambito dell’attività ad edilizia libera, in relazione alla quale è sufficiente la previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale (20).

Tralasciando gli impianti di piccole dimensioni, o comunque destinati all’autoconsumo, la presente indagine si focalizzerà esclusivamente sugli impianti connessi alla rete elettrica nazionale e tesi, per il loro dimensionamento, alla produzione di energia elettrica per la vendita. Ci si riferisce, in definitiva, alle centrali fotovoltaiche, ovvero agli impianti di potenza complessivamente superiore ai 20 kW per la cui realizzazione risulta necessario procurarsi la disponibilità di aree di un’apprezzabile estensione.

La dubbia configurabilità dei moduli (o pannelli) fotovoltaici quali beni immobili, come si è visto, deriva principalmente da considerazioni collegate alla precarietà dell’ancoraggio al suolo degli stessi e alla loro facile asportabilità senza che ciò comporti un’alterazione dell’originaria funzionalità.

Deve in primo luogo osservarsi che un ancoraggio più o meno saldo dei pannelli fotovoltaici al suolo o ad altro immobile (ad es. lastrico solare), pur non richiesto per il loro funzionamento, è reso necessario da esigenze di stabilità e messa in sicurezza rispetto alle sollecitazioni atmosferiche. Tale ancoraggio può avvenire attraverso diverse modalità tecniche, che contemplano strutture con pali infissi nel terreno ad una certa profondità o allo stesso ancorati con il cemento, strutture di cemento appoggiate sul terreno o supporti metallici fissati alla struttura edilizia con tasselli o malte cementizie.

In particolare, ferma restando la qualificabilità in termini immobiliari della struttura di sostegno (trattandosi di un manufatto che, anche a non volerlo far rientrare nell’ambito delle “altre costruzioni”, rientra senz’altro nel novero di “tutto ciò che […] artificialmente è incorporato al suolo”), è stato osservato in dottrina che anche il singolo pannello fotovoltaico, dopo essere stato imbullonato o incastrato nella struttura di sostegno, “assume senza dubbio una natura immobiliare per essere parte componente di un bene immobile, tanto quanto le turbine della centrale elettrica (così come divengono parte di un edificio gli infissi destinati a servire da porte e finestre: pur essi erano mobili prima di essere montati) (21).

Il funzionamento di una centrale fotovoltaica richiede, inoltre, che la sommatoria dei pannelli (ognuno dei quali in grado di convertire direttamente la radiazione solare in energia

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elettrica) sia collegata in serie e allacciata alla rete elettrica nazionale tramite l’inverter, ovvero un’apparecchiatura che adegui le caratteristiche dell’elettricità prodotta e in uscita dai moduli a quelle della rete elettrica. Gli inverter, infine, sono posizionati in cabine prefabbricate, normalmente costituenti vere e proprie porzioni immobiliari.

Appare pertanto doversi ritenere che, nel loro complesso e sulla base dei criteri ermeneutici sopra enunciati ai fini della qualificazione di un bene come immobile, le centrali fotovoltaiche possano accedere a tale qualificazione ove più o meno saldamente impiantate al suolo.

L’incertezza relativa all’elemento materiale – data dalla precarietà in alcuni casi dell’ancoraggio al suolo e in linea di massima dalla non difficile asportabilità dei pannelli da un punto di vista tecnico – apparirebbe infatti compensata da alcune considerazioni attinenti al profilo funzionale. La messa in opera di un impianto di apprezzabili dimensioni, ivi compresa l’integrazione tra i diversi elementi e il loro allacciamento alla rete elettrica nazionale, lascia, infatti, presupporre un collegamento con il luogo in cui è impiantato funzionale ad una duratura utilizzazione del bene in quel determinato posto; tanto più che apparirebbero alquanto antieconomici gli interventi volti allo spostamento dell’impianto fotovoltaico in un sito diverso da quello di prima istallazione, anche in considerazione del fatto che ciò comporterebbe la decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti (22).

Tale ricostruzione risulta del resto conforme alla lettura dell’art. 812 c.c. sopra prospettata, in base alla quale la natura mobiliare o immobiliare di un bene va considerata – al di là della conservazione o meno della sua individualità fisica a seguito dell’immobilizzazione – essenzialmente in ragione degli interessi che sullo stesso si appuntano. Pertanto”, pur non perdendo il pannello “immobilizzato” la propria identità reale (nel senso che, rispetto all’immobile cui è unito, rimane un’entità oggettivamente distinta), la sua condizione di connessione funzionale con il suolo, conseguente al suo ancoraggio alla struttura di sostegno nell’ambito di un parco fotovoltaico, ne modifica la considerazione giuridica; né rileva ad escludere l’immobilizzazione la sua reversibilità, legata all’agevole spostamento o rimozione dei moduli fotovoltaici. Ciò che rileva, infatti, come si è già detto, è la funzione di un dato bene in quanto collocato in un dato contesto spaziale (e cioè in connessione con il suolo) (23).

3. Modalità contrattuali per l’acquisizione della disponibilità delle aree: criteri discretivi Ove, pertanto, sulla base delle considerazioni precedentemente svolte, si assuma la natura immobiliare degli impianti fotovoltaici, non vi sono dubbi circa la configurabilità della costituzione del diritto di superficie di cui all’art. 952 c.c. quale strumento contrattuale “privilegiato” ai fini

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dell’acquisizione della disponibilità delle aree necessarie per la loro costruzione.

Infatti, la costituzione di un diritto reale, in quanto atta a garantire un rapporto stabile con il terreno, oltre ad apparire, in linea generale, più consona agli interessi di colui che si accinga a porre in essere un investimento, talvolta sostanzioso, costituisce il mezzo tecnicamente più idoneo per acquisire la disponibilità di un terreno a fini edificatori.

Non sembra, poi, costituire un ostacolo in ordine alla possibilità di costituzione di un diritto di superficie anche la previsione contenuta nell’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387/2003 in base alla quale il rilascio dell’autorizzazione a costruire ed esercire l’impianto deve contenere l’obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto.

Infatti, anche laddove tale disposizione dovesse tradursi nella previsione di un obbligo contrattuale a carico di colui che ha posto in essere l’opera di rimuovere la stessa al termine del rapporto, in contrasto con quanto previsto dall’art. 953 c.c. (in base al quale “se la costituzione del diritto è stata fatta per un tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione”), è pacifica in dottrina la natura dispositiva della disposizione in parola (24).

Strumenti contrattuali diversi dalla costituzione del diritto di superficie, quali la locazione, il comodato, ed altre fattispecie obbligatorie (anche atipiche), appaiono, in linea di massima, più idonei alla realizzazione di interessi diversi rispetto a quello dell’acquisizione della disponibilità delle aree per la costruzione, ed essenzialmente legati al godimento statico di impianti già esistenti; non è, tuttavia, escluso che le parti, nell’esercizio della propria autonomia contrattuale e in relazione alla peculiare natura degli interessi dalle stesse perseguiti, possano far ricorso anche a strumenti contrattuali aventi natura ed effetti obbligatori al fine di ottenere la disponibilità delle aree e il consenso all’edificazione sulle stesse (25). Dubbia è tuttavia l’ammissibilità di una deroga al principio di accessione anche attraverso una concessione ad aedificandum con natura ed effetti obbligatori (26).

Appare, infine, prestarsi poco alla realizzazione delle finalità qui considerate (e dunque l’allocazione di un impianto fotovoltaico su un fondo altrui) il ricorso all’istituto della servitù in ragione della necessaria inerenza di tale diritto a due fondi, uno servente e uno dominante. E’ naturalmente fatto salvo il caso in cui colui che intenda procedere all’istallazione dell’impianto sia   sua volta titolare di un altro immobile al cui servizio sia preordinata la realizzazione dell’impianto stesso. Si tratterebbe, tuttavia, di una fattispecie avente un’incidenza marginale (27).

Ciò premesso, dunque, quella di stabilire se un determinato atto abbia ad oggetto la costituzione di un diritto di superficie ovvero una locazione (o altro atto a contenuto meramente

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obbligatorio) rappresenta una questione interpretativa, la cui soluzione richiede una valutazione analitica del complesso delle clausole e delle condizioni contrattuali da svolgersi sulla base dei canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e ss. c.c. (in tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione (sentenza 11 febbraio 1998, n. 1392), la quale – nel constatare che “la concessione ad aedificandum, stante l’autonomia contrattuale delle parti, riconosciuta dall’art. 1322 c.c., non sempre e necessariamente si concreta in un diritto reale di superficie, ai sensi dell’art. 952 c.c., potendo in taluni casi assumere i caratteri e i contenuti di un diritto personale efficace nei soli confronti del concedente, trovando la sua fonde e disciplina in un contratto (atipico) con effetti meramente obbligatori, non soggetto a rigori di forma o di pubblicità” e che “la riconduzione della fattispecie concreta a tale configurazione giuridica costituisce indubbiamente una quaestio facti, la cui valutazione è riservata esclusivamente al giudice di merito” – ha censurato la decisione che era  stata impugnata in quanto non spiegava le ragioni alla base della qualificazione dell’atto in questione come negozio a contenuto meramente obbligatorio).

Alcuni indici peculiari, rivelatori delle diverse configurazioni giuridiche sono stati individuati dalla giurisprudenza, nel cui ambito uno dei criteri più spesso seguiti è stato quello di verificare, di volta in volta, se il fondo sia stato considerato dalle parti contraenti semplicemente come bene di cui servirsi secondo la convenuta destinazione, ovvero, in modo specifico come spazio utile alla realizzazione e al mantenimento delle costruzioni, costituenti l’oggetto principale del negozio. In quest’ultimo caso, infatti, l’attribuzione, non già del godimento del bene in sé (caratteristico della locazione), ma della facoltà di avvalersi del bene stesso per conseguire quel peculiare risultato che si concreta nell’uso edificatorio è valso ad identificare il diritto concretamente attribuito con quello di superficie (28).

Sono poi stati considerati elementi utili ad individuare la natura personale o reale del diritto, oltre al rapporto intercorrente fra disponibilità del fondo e godimento delle costruzioni o addizioni poste in essere, il tipo di costruzione (stabile o instabile, di maggiore o minore entità) dedotto in contratto e l’eventuale esistenza di limitazioni del diritto nel tempo (29).

Ulteriori indizi rilevanti ai fini dell’interpretazione dell’atto posto in essere dalle parti sono, infine, stati rinvenuti nella forma utilizzata per la stipulazione del contratto (Corte di Appello di Roma, sentenza 13 febbraio 1989, n. 334, ha rilevato che “il negozio costitutivo del diritto di superficie, essendo finalizzato alla costituzione di un diritto reale immobiliare, al contrario della locazione, postula, di regola, una forma documentale suscettibile di renderlo titolo idoneo alla trascrizione, di guisa che risulta, normalmente, consacrato in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata”), oltre che nella modalità di corresponsione del corrispettivo.

13

In rapporto a tale profilo, nell’unica sentenza rinvenuta in cui è affrontata espressamente la questione si legge che “il negozio costitutivo del diritto di superficie, di regola, prevede che il pagamento del corrispettivo al proprietario del suolo debba essere fatto in un’unica soluzione, o, tutt’al più, in casi relativamente eccezionali, mediante il versamento di un canone annuo, sul tipo del solarium; la locazione, viceversa, secondo una prassi notoria e generalizzata, quasi mai derogata, prevede che il corrispettivo sia versato in ratei mensili” (Corte di Appello di Roma, cit.).

In dottrina è stato, tuttavia, evidenziato che il corrispettivo della costituzione del diritto di superficie, ove previsto, può consistere o nella devoluzione di una somma in soluzione unica o, invece, nel pagamento di un canone periodico, chiamato per tradizione solarium (30). In particolare, il ricorso a tale ultima forma di corrispettivo deve ricondursi alle origini storiche dell’istituto, sorto dalla locazione del suolo e solo successivamente riconosciuto come diritto reale (31).

Ciascuno degli indici sopra elencati, pertanto, pur fornendo un utile ausilio nella valutazione del rapporto concreto, non costituisce di per sé un elemento dirimente al fine di determinare la natura reale o obbligatoria del diritto disposto dalle parti.

La dottrina ha, infatti, evidenziato che il problema della qualificazione della fattispecie come negozio ad effetti obbligatori o come negozio ad effetti reali (di competenza del giudice di merito) è spesso di non facile soluzione e richiede un’attenta analisi della situazione di fatto, e che i criteri elaborati dalla giurisprudenza lasciano un largo margine di incertezza e di arbitrio di fronte alla mancanza di ulteriori specificazioni (32). Così in relazione, ad esempio, al criterio, sopra enunciato, avente riguardo al tipo di rapporto intercorrente fra disponibilità del fondo e godimento delle costruzioni o addizioni poste in essere – in base al quale l’attribuzione, non già del godimento del bene in sé (caratteristico della locazione), ma della facoltà di avvalersi del bene stesso per conseguire quel peculiare risultato che si concreta nell’uso edificatorio varrebbe ad identificare il diritto concretamente attribuito con quello di superficie – la dottrina ha rilevato che seppure tale indice colga un fondo di verità, resta tuttavia puramente descrittivo (33). Allo stesso modo ha sollevato perplessità l’eccessiva attenzione alla natura della costruzione da compiere (34).

Maria Laura Mattia

_________________

1) A titolo esemplificativo – riproponendo la casistica contrattuale riportata da BUSANI, Ma… la Tour Eiffel è un

bene mobile? (Riflessioni sulla natura immobiliare dell’impianto fotovoltaico, in Notariato, 3/2001, 305 ss. – si

possono menzionare, oltre ai contratti di locazione di aree destinate ad ospitare gli impianti fotovoltaici e ai

contratti di concessione del diritto di superficie delle stesse aree sempre al fine di posizionarvi gli impianti, i

contratti di vendita della proprietà superficiaria degli impianti realizzati sfruttando il diritto di superficie, i

contratti con società di leasing aventi ad oggetto l’acquisizione dell’area o dell’impianto da parte dell’istituto

14

finanziatore e poi la loro concessione in godimento all’utilizzatore e i contratti di finanziamento con

concessione di garanzie (pegno, privilegio, ipoteca) aventi ad oggetto i pannelli solari o l’impianto

fotovoltaico nel suo complesso.

2) Così BUSANI, cit., 306 ss., il quale specifica che “l’accumunare in un’unica categoria beni ontologicamente

diversi deriva dall’esigenza che la qualificazione giuridica del mondo fisico comporta sempre un’astrazione

della sua dimensione naturalistica, in quanto per l’ordinamento rileva non la struttura materiale o

immateriale di una cosa e neanche la sua attitudine alla dinamicità o alla staticità, bensì gli interessi che su di

essa si appuntano, in quanto di tali interessi l’ordinamento deve approntare un’apposita regolamentazione e

di conseguenza un’apposita tutela. Se questo procedimento di astrazione dalla realtà concreta non è

immediatamente percepibile con il suolo (dal momento che la qualifica immobiliare con la quale questo bene

è connotato dall’ordinamento giuridico ha piena rispondenza nella condizione naturale di inamovibilità in cui

il suolo si trova nella realtà, come entità del mondo sensibile), viceversa esso risulta ben più evidente con

riguardo ai beni immobili diversi dal suolo, per i quali è il loro rapporto di connessione con il suolo che

interviene come discrimine, onde ricomprenderli, appunto, nella categoria dei beni immobili: in tale caso, una

certa entità, di per sé astrattamente mobile, viene unita al suolo, perché tale unione rende l’entità stessa

finalizzabile alla soddisfazione di una certa esigenza o di un certo interesse, alla cui realizzazione la stessa

entità non era idonea senza la connessione al suolo”.

3) Così SCOZZAFAVA, Dei beni, in Commentario Schlesinger, Milano, 1999, 42 ss.

4) Comm. Trib. Centr., 20 giugno 1990, n. 4829.

5) TAR Campania, 10 febbraio 1982, n. 86.

6) Cass. 7 febbraio 1966, n. 396.

7) Cass. 20 luglio 1962, n. 1964; Cons. di Stato 24 febbraio 2003 n. 986; Cons. di Stato 22 dicembre 2007, n.

6615;TAR Lombardia 27 settembre 1988, n. 312. In particolare, i giudici amministrativi, in riferimento alla

nozione di “costruzione” rilevante ai fini della normativa edilizia, hanno affermato, in virtù di un

orientamento consolidato, che la precarietà di una costruzione non si identifica con l’assenza d’ancoraggio

del bene al suolo, addivenendo per tal via a sostenere, ad esempio, l’assoggettamento alla concessione

edilizia di un chiosco prefabbricato per lo svolgimento di un’attività commerciale non infisso al suolo, ma allo

stesso aderente in modo stabile, e destinato ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, in modo tale che

l’alterazione del territorio non possa considerarsi temporanea, precaria o irrilevante (Cons. di Stato 24

febbraio 2003, n. 986, cit.).

8) TAR Campania, 10 febbraio 1982, n. 91.

9) Cass. 7 aprile 1970, n. 962; Cass. 28 maggio 1977, n. 2200; Trib. Rovereto 27 giugno 1994.

10) Così SCOZZAFAVA, cit., 43 ss. Nello stesso senso BUSANI, cit., 308 e 311, il quale precisa che nel dettato

normativo non vi sono riferimenti al fatto che il bene unito o incorporato al suolo debba con ciò perdere, per

essere considerato immobile, la propria individualità e, altresì, specifica che “nell’ambito di “tutto ciò che è …

artificialmente incorporato al suolo” rientra anche il manufatto che non sia infisso né incorporato al suolo

mediante fondazioni, essendo sufficiente la sua immedesimazione con il terreno sottostante anche soltanto

per “forza di gravità”, con la conseguenza che la connessione del manufatto al suolo ben può realizzarsi

mediante il suo mero appoggio, e non soltanto attraverso l’incorporazione o il collegamento fisso ad una

preesistente fabbrica”. L’Autore, pertanto, specifica che dall’incorporazione da cui si origina l’immobilità del

manufatto va distinta la “commistione”, la quale, implicando l’impossibilità di operare la separazione tra i

due oggetti se non con la distruzione di quanto risultante dall’unione di essi, rappresenta un legame più forte

tra i beni.

11) Così COSTANTINO, La disciplina dei beni, in Trattato Rescigno, Torino, 2005, 71 e ss.

12) Cfr. Cass. 9 maggio 1962, 931.

13) Così COSTANTINO, cit., 77, il quale osserva, in tale prospettiva, che “non vale la pena di individuare la

differenza fra un collegamento con un luogo realizzato mediante viti e bulloni ed un altro realizzato mediante

calce e cemento. Occorre, invece, verificare se il collegamento con un luogo, ovvero, come dice la legge, con

il suolo, è funzionale in modo permanente, o almeno duraturo, all’utilizzazione del bene”; in definitiva la

distinzione tra mobili e immobili non risiederebbe “nella natura delle cose, ma nella valutazione che

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l’ordinamento ne compie in quanto oggetto di diritti e di rapporti. Se risulta che l’utilizzabilità di un bene è

giuridicamente rilevante e riconosciuta idonea a realizzare interessi meritevoli di tutela in relazione a un

luogo determinato, si dirà che il suo oggetto è immobile. Altrimenti si dirà che il suo oggetto è mobile”. In

senso in parte difforme dalla lettura qui prospettata dell’art. 812 c.c., orientata in senso funzionalistico, si è

espresso in tempi meno recenti BIONDI, I beni, in Trattato Vassalli, Torino, 1956, 73 ss., il quale, ponendo

l’accento sulla scomparsa della categoria dei beni immobili per destinazione, ha affermato che, nel vigore del

codice attuale, ciò che conta “affinché cose, che fisicamente sarebbero mobili, diventino immobili è la

incorporazione fisica al suolo, in guisa da formare un tutto con questo”. L’Autore da ultimo citato nello

specifico ritiene che sia “necessaria la congiunzione materiale: non importa con quale mezzo. Pertanto non

basta la collocazione sul suolo di materiali da costruzione seppure con l’intento evidente di costruire, come

non basta il semplice appoggio al suolo: una costruzione semplicemente appoggiata senza congiunzione

materiale non è immobile, non verificandosi quell’incorporazione che richiede la legge: incorporazione vuol

dire formare con il suolo un’unica entità”.

14) Così la circolare 19 luglio 2007, n. 46/E nell’ambito dell’individuazione dell’aliquota da applicare in sede di

ammortamento fiscale dell’impianto fotovoltaico.

15) Allegato 2. Tipologie di interventi validi ai fini del riconoscimento della parziale integrazione architettonica.

Tipologia specifica 1 Moduli fotovoltaici installati su tetti piani e terrazze di edifici e

fabbricati. Qualora sia presente una balaustra perimetrale, la quota

massima, riferita all’asse mediano dei moduli fotovoltaici, deve risultare

non superiore all’altezza minima della stessa balaustra.

Tipologia specifica 2 Moduli fotovoltaici installati su tetti, coperture, facciate, balaustre o

parapetti di edifici e fabbricati in modo complementare alla superficie di

appoggio senza la sostituzione dei materiali che costituiscono le superfici

d’appoggio stesse.

Tipologia specifica 3 Moduli fotovoltaici istallati su elementi di arredo urbano, barriere

acustiche, pensiline, pergole e tettoie in modo complanare alla

superficie di appoggio senza la sostituzione dei materiali che

costituiscono le superfici d’appoggio stesse.

16) Allegato 3. Tipologie di interventi valide ai fini del riconoscimento dell’integrazione architettonica.

Tipologia specifica 1 Sostituzione dei materiali di rivestimento di tetti, coperture, facciate di

edifici e fabbricati con moduli fotovoltaici aventi la medesima

inclinazione e funzionalità architettonica della superficie rivestita.

Tipologia specifica 2 Pensiline, pergole e tettoie in cui la struttura di copertura sia costituita

dai moduli fotovoltaici e dai relativi sistemi di supporto.

Tipologia specifica 3 Porzioni della copertura di edifici in cui i moduli fotovoltaici sostituiscano

il materiale trasparente o semitrasparente atto a permettere

l’illuminamento naturale di uno o più vani interni.

Tipologia specifica 4 Barriere acustiche in cui parte dei pannelli fonoassorbenti siano sostituiti

da moduli fotovoltaici.

Tipologia specifica 5 Elementi di illuminazione in cui la superficie esposta alla radiazione

solare degli elementi riflettenti sia costituita da moduli fotovoltaici.

Tipologia specifica 6 Frangisole i cui elementi strutturali siano costituiti dai moduli fotovoltaici

e dai relativi sistemi di supporto.

Tipologia specifica 7 Balaustre a parapetti in cui i moduli fotovoltaici sostituiscano gli elementi

di rivestimento e copertura.

Tipologia specifica 8 Finestre in cui i moduli fotovoltaici sostituiscano o integrino le superfici

vetrate delle finestre stesse.

16

Tipologia specifica 9 Persiane in cui i moduli fotovoltaici costituiscano gli elementi strutturali

delle persiane.

Tipologia specifica 10 Qualsiasi superficie descritta nelle tipologie precedenti sulla quale i

moduli fotovoltaici costituiscano rivestimento o copertura aderente alla

superficie stessa.

17) Il procedimento di autorizzazione unica è regolamentato anche dall’art. 5 del d.lgs. n. 28/2011.

18) Le ipotesi rientranti nell’ambito di applicazione di tale disposizione sono meglio specificate dal paragrafo

12.2 delle linee guida, ai sensi del quale “Sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività:

a) impianti solari fotovoltaici non ricadenti tra quelli di cui al punto 12.1 aventi tutte le seguenti

caratteristiche (ai sensi dell’art. 21, comma 1, del decreto ministeriale 6 agosto 2010 che stabilisce le tariffe

incentivanti per gli impianti che entrano in esercizio dopo il 31 dicembre 2010):

i. moduli fotovoltaici sono collocati sugli edifici;

ii. la superficie complessiva dei moduli fotovoltaici dell’impianto non sia superiore a quella del tetto

dell’edificio sul quale i moduli sono collocati.

b) impianti fotovoltaici non ricadenti fra quelli di cui al paragrafo 12.1 e 12.2 lettera a) aventi capacità di

generazione inferiore alla soglia indicata alla Tabella A allegata al d.lgs. 387 del 2003, come introdotta dall’art.

2, comma 161, della legge n. 244 del 2007”.

In relazione a tali interventi si applica inoltre la procedura abilitativa semplificata prevista dall’art. 6 del d.lgs.

n. 28/2011.

L’art. 21 del d. m. 6 agosto 2010 ha infine previsto, in attuazione del terzo periodo dell’art. 12 , comma 5, del

d.lgs. N. 387/2003 che “la costruzione e l’esercizio di impianti e delle opere connesse, i cui moduli fotovoltaici

sono collegati su edifici e non ricadenti nella fattispecie di cui agli artt. 11, comma 3, del decreto legislativo n.

115 del 2008 e 6, comma 2, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001, è soggetta a dichiarazione di inizio attività, a

condizione che la superficie complessiva dei moduli fotovoltaici dell’impianto non sia superiore a quella del

tetto dell’edificio sul quale i moduli sono collocati, e che il proponente abbia titolo sulle aree o sui beni

interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse”.

Per tali attività di costruzione ed esercizio degli impianti fotovoltaici si applica la procedura abilitativa

semplificata disposta dall’art 6 del d.lgs. n. 28/2011.

Si rammenta, inoltre, che, a seguito dell’introduzione della Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), ad

opera dell’art. 49, comma 4-bis, della legge n. 122/2010 (il quale ha sostituito il previgente testo dell’art. 19

della l. 241/1990), la stessa si applica – come chiarito da una nota del 16 settembre 2010 dell’Ufficio

legislativo del Ministero per la Semplificazione normativa e confermato dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70- a tutti

gli interventi edilizi prima soggetti a DIA di cui all’art 22, commi 1 e 2, D.P.R. 380/2001, ad esclusione degli

interventi edilizi per i quali, in base alla normativa statale o regionale, sia consentito il ricorso alla DIA in via

alternativa o sostitutiva al permesso di costruire (la cd. super DIA). Per maggiore approfondimento sul tema

si rinvia allo Studio del CNN n. 325-2011 (est. G. RIZZI), La disciplina dell’attività edilizia dopo il decreto sullo

sviluppo 2011.

19) Per il cui approfondimento si rinvia a ANGELINI, Impianti fotovoltaici: la necessaria coesistenza tra disciplina

autorizzato ria e normativa edilizia, in Giustizia amministrativa, 2009, 176.

20) Le condizioni al ricorrere delle quali si è in presenza un’attività ad edilizia libera sono individuate dall’art. 7

del d.lgs. n. 28/2011 e dall’art. 6, comma 2, lett. d) del T.U. dell’edilizia. Gli specifici interventi sono, inoltre,

enunciati dal par. 12.1 delle linee guida.

Secondo tale disposizione, in particolare, devono considerarsi attività ad edilizia libera: “

“a) impianti solari fotovoltaici aventi tutte le seguenti caratteristiche (ai sensi dell’articolo 11, comma 3, del

decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115):

i. impianti aderenti o integrati nei tetti di edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento

della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi;

ii. la superficie dell’impianto non è superiore a quella del tetto su cui viene realizzato;

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iii. gli interventi non ricadono nel campo di applicazione del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i.

recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, nei casi previsti dall’art. 11, comma 3, del decreto legislativo

n. 115 del 2008.

b) impianti solari fotovoltaici aventi tutte le seguenti caratteristiche (ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera

d) del D.P.R. 380 del 2001):

i. realizzati su edifici esistenti o sulle loro pertinenze;

ii. aventi una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto;

iii. realizzati al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”.

21) Così BUSANI, cit., 314.

22) Cfr. per gli impianti entrati in esercizio in data più recente il D.M.6 agosto 2010 (artt. 4 e 8) e il D. M. 5

maggio 2011 (art. 6).

23) Tale impostazione è seguita da BUSANI, cit. Sono invece giunti all’opposta conclusione della qualificazione

degli impianti fotovoltaici come beni mobili TUCCI, Impianti fotovoltaici e garanzie sui beni dell’azienda, in

Rivista di diritto privato, 1/2010, CATERINA, Contratto di locazione di terreni e realizzazione di impianti

fotovoltaici, in Immobili e proprietà, 2010, 1, 31, secondo cui “considerando le caratteristiche tecniche e

costruttive degli impianti fotovoltaici, intesi come complesso di componenti tra loro collegati mediante

strutture metalliche, cavi e cablaggi elettrici, anche se fosse collocato su un edificio (quale impianto integrato

o semintegrato) o su un suolo direttamente dallo stesso proprietario, non darebbe mai luogo

all’incorporazione dei beni mobili che lo compongono con l’immobile sul quale sono costruiti o collocati, in

quanto non incorporati al suolo, ma facilmente separabili ed asportabili dal ben immobile”; TUCCI, Impianti

fotovoltaici e garanzie sui beni dell’azienda, in Rivista di diritto privato, 1/2010, 25; CHRICHIGNO –

CIRIMBILLA, L’assimilazione degli impianti fotovoltaici agli opifici, in Corriere tributario, 10/2010, 799, i quali

affermano l’autonomia funzionale del pannello fotovoltaico – e dunque l’assenza di una connessione

indissolubile e di un’integrazione atta a formare un bene complesso con il terreno – anche in relazione alla

circostanza che, per espressa disposizione di legge (art. 12, comma 7 del d.lgs. 387/2003), la destinazione

agricola del terreno sul quale accede un parco fotovoltaico non cambia a seguito della costruzione del parco).

24) Si veda per tutti GUARNIERI, La superficie, in Commentario Schlesinger, Milano, 2007, 180.

25) La questione relativa agli strumenti contrattuali utilizzabili al fine di acquisire la disponibilità delle aree su cui

installare un impianto fotovoltaico è esaminata anche da PETTERUTI, L’atto notarile e l’imposizione indiretta

(registro, ipotecaria e catastale), relazione al convegno Forum nazionale energie rinnovabili.

Regolamentazione, fiscalità e finanza, Milano, 23 – 24 – 25 febbraio 2011.

La questione, inoltre, si è posta anche in altri Stati dell’Unione europea, quali la Francia, dove il CRIDON Nordest

ha elaborato un opuscolo intitolato Le photovoltaïque, nel cui ambito, nella sezione Immobilier, vi è un

paragrafo su Quelle structure contractuelle pour développer une istallation photovoltaïque?

26) Si tratta di un’eventualità ammessa dalla giurisprudenza (si vedano tra le altre Cass. 10 luglio 1985, n. 411;

Cass. 26 aprile 2002, n. 6078 e Cass. 21 febbraio 2005, n. 3440) e da parte della dottrina (si rinvia per tutti a

A. GAMBARO, Il diritto di proprietà, in Trattato Cicu – Messineo, VIII, t. 2, Milano, 1995, 760 ss.), la quale,

tuttavia, osserva che “il problema delle concessiones ad aedificandum aventi efficacia meramente

obbligatoria rimane di interesse più teorico che operativo”. Infatti, “se le parti derogano al meccanismo

dell’accessione mediante un accordo confezionato in forma scritta, ma non trascritto, l’inopponibilità a terzi

della proprietà superficiaria che ne risulta è un esito sicuro. Ne consegue la limitata rilevanza dell’alternativa

tra l’attribuzione a tale negozio di effetti reali o effetti obbligatori. Del resto un patto di deroga a forma libera

impedisce di vincere la presunzione stabilita dalla legge di registro basata sul principio dell’accessione” (A.

GAMBARO, cit., 763 ss.).

27) La problematica relativa all’individuazione del fondo dominante apparirebbe più sfumata laddove

l’allocazione di un impianto fotovoltaico si ritenesse riconducibile alla figura della servitù di elettrodotto, con

particolare riferimento all’impostazione in base alla quale la servitù di elettrodotto deve ritenersi costituita “a

favore della stessa linea elettrica che insiste sui fondi attraversati, nel senso cioè che il fondo dominante è

rappresentato dalla conduttura elettrica esistente sui fondi alieni” (così G. PATERNÒ, La servitù di

elettrodotto, Milano, 2000, 110, cui si rinvia anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici) e non a favore

della centrale di produzione elettrica come sostenuto da altra dottrina e da alcune pronunce

18

giurisprudenziali. Appare, tuttavia, dubbia l’omogeneità delle due fattispecie. Alla servitù coattiva di

elettrodotto, di cui all’art. 1056 c.c. e agli artt. 119-129 R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775, appare, infatti,

maggiormente riconducibile, quanto all’oggetto, il passaggio dei cavi di collegamento dell’impianto

fotovoltaico (inteso come centrale di produzione) alla rete elettrica nazionale, piuttosto che la costruzione

dell’impianto stesso.

28) Cfr. PALERMO, La superficie, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, vol. 8, Torino, 2002, 1 ss. e

GUARNIERI, cit., 96 ss., cui si rinvia per i riferimenti giurisprudenziali

29) Anche in relazione a tali criteri per i corrispondenti riferimenti giurisprudenziali si rinvia a PALERMO, cit., 12

ss. e a GUARNIERI, cit., 96 ss.

30) Cfr. SALIS, La superficie, in Trattato Vassalli, IV, Torino, 1958, 103 ss.; PUGLIESE, Della superficie, in

Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1976, 585; GUARNIERI, cit., 71; CATERINA, I

diritti reali. Usufrutto, uso, abitazione, superficie, in Trattato Sacco, Torino, 2009, 202, ai quali si rinvia per

maggior approfondimento circa la natura giuridica di questo corrispettivo e quali siano le conseguenze del

mancato pagamento di una o più rate del canone.

31) Per la ricostruzione storica dell’istituto si veda PUGLIESE, cit., 557 ss.

32) Così GUARNIERI, cit., 98

33) Si veda PALERMO, cit., 13

34) Si veda PUGLIESE, cit., 586.

_______________________________________________________________________________

 

1

CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO

Studio n. 35-2011/T

Profili fiscali degli atti relativi agli impianti fotovoltaici

Approvato dalla Commissione studi tributari il 15 luglio 2011

Lo studio in sintesi (Abstract)

Il Notariato esamina i vari profili fiscali della contrattazione relativa agli impianti fotovoltaici ed affronta laquestione della natura immobiliare/mobiliare degli impianti dando rilevanza alle regole catastali che influenzano la formazione degli atti autentici, ma che, di riflesso, incidono anche sui rapporti di leasing.

Riguardo ai terreni, la disamina valorizza il discrimine tra affitto e locazione per individuare il regime delle concessioni di diritti personali di godimento mentre per la costituzione ed il trasferimento di diritti di superficie e proprietà superficiarie utilizza le disposizioni tributarie che qualificano la natura “edificabile” del suolo. Riguardo ai fabbricati, sceglie di attribuire ai lastrici solari la stessa natura dell’edificio cui appartengano, respingendo la tesi dell’assimilabilità alle “aree urbane”.

In materia di plusvalenze tassabili, equipara la negoziazione di diritti di superficie alla cessione di proprietà, piuttosto che a quella di usufrutto e non ritiene possibile assimilarla all’assunzione di obbligazioni di permettere (così avversando la tesi che vorrebbe applicare le regole del TUIR proprie di queste due fattispecie particolari).

Quanto all’imposta ICI, segnala la possibile assimilazione degli impianti a quelli di interesse pubblico, per i quali vale l’esenzione da detta imposta.

***

Sommario: 1.Impianti fotovoltaici e prassi contrattuale; 2. La qualificazione dell’impianto come bene mobile od immobile nell’interpretazione dell’amministrazione finanziaria; 3. Il trattamento tributario degli atti preordinati all’installazione dell’impianto; 3.1. Il ricorso al rapporto di locazione/affitto; 3.2. Il ricorso al diritto di superficie; 3.2.1. La costituzione ed il trasferimento del diritto di superficie su terreni da parte di cedente-costituente che non agisca nell’esercizio d’impresa; 3.2.2.La costituzione del diritto di superficie nel caso in cui il cedente agisca invece nell’esercizio d’impresa; 3.3 Impianto fotovoltaico realizzato su edifici 4. Gli impianti fotovoltaici: profili fiscali ai fini delle imposte dirette; 4.1. Plusvalenze da cessione di terreni agricoli o edificabili; 4.2. Plusvalenze realizzate a seguito di costituzione o cessione di diritti reali di godimento; 5 Il regime pex per le società che operano nel settore delle energie rinnovabili; 5.1 Cenni sulla disapplicazione della disciplina delle società di comodo; 5.2 Le operazioni di conferimento: applicabilità dell’art.176 del Tuir; 5.3 L’ammortamento fiscale degli impianti di energie rinnovabili; 6. Il leasing di impianti fotovoltaici; 7. Impianti fotovoltaici e tassazione ICI; 7.1 I fabbricati rurali e l’ICI; 7.2. La cessione del diritto di superficie e l’ICI.

***

2

1. Impianti fotovoltaici e prassi contrattuale

L’esame dei profili tributari degli atti con i quali si programma l’installazione di impianti di produzione di energia fotovoltaica su bene altrui presuppone, oltre all’analisi dei profili civilistici (1) l’individuazione delle varie tecniche contrattuali utilizzate.

La prassi negoziale fino ad oggi invalsa ricorre ai diritti di godimento nella duplice forma del diritto personale e del diritto reale, conseguiti mediante locazione/affitto da un lato e costituzione/trasferimento di diritti di superficie dall’altro (2)..Appare marginale, nell’economia del fenomeno, il ricorso alla costituzione di servitù (3).

Il panorama è arricchito, peraltro, dall’emersione di forme di corresponsione del corrispettivo che spaziano dal “canone” alla “prestazione in natura”. A questo proposito, benché la prassi indulga all’utilizzo del termine “canone” pur a fronte di atti costitutivi di diritti reali di godimento, pare opportuno ricordare che, allorché si tratti di tali diritti nascenti da un contratto prevedente un corrispettivo in denaro, deve farsi riferimento, quanto alla natura del titolo, alla compravendita. Riguardo al corrispettivo, coerentemente deve parlarsi di prezzo (ex art. 1470 c.c.) e di modalità di suo pagamento, senza che trovi spazio la nomenclatura tipica dei rapporti di durata, secondo la quale è denominato “canone” quello dell’affitto (art. 1639) e della locazione (L. 392/’78, art. 12 e art. 32), mentre nel campo dei diritti reali parziari detto termine è utilizzato unicamente nel contratto di enfiteusi (art. 961 c.c.). Ciò salvo precisare che l’impiego del termine canone può trovare una certa plausibilità nella negoziazione del diritto di superficie a causa della tradizione romanistica nel campo delle concessioni di beni pubblici, poi introdotta anche nei rapporti tra privati, secondo cui il corrispettivo della concessione si denominava solarium (4). In particolare, il ricorso a tale ultima forma di corrispettivo deve ricondursi alle origini storiche dell’istituto della superficie, sorto dalla locazione del suolo e solo successivamente riconosciuto come diritto reale.

Quanto all’elemento oggettivo della fattispecie in esame, è noto che è dibattuta la natura

mobiliare ed immobiliare dell’impianto, il qual problema si riflette sulla strutturazione del

rapporto e, conseguentemente, sul regime civilistico del negozio e sul suo assetto tributario.

Infatti, una volta che l’impianto sia venuto ad esistenza e lo si voglia assumere ad oggetto di

successivi contratti che ne trasferiscano la titolarità, occorre stabilire se esso sia da considerare

mobile o immobile, per poi articolare una gamma di possibili strumenti negoziali idonei allo scopo,

che possono andare dalla cessione della proprietà o altro diritto reale sull’impianto, alla cessione

di azienda o ramo d’azienda. Ciò a seconda che si valorizzi l’oggetto come bene mobile od

3

immobile oppure come complesso organizzato per l’esercizio di attività d’impresa, con notevoli

riflessi sulle operazioni di finanziamento, anche nella forma del leasing.

La distinzione mobile/immobile non riguarda soltanto il profilo strettamente fiscale, tenuto

conto delle diverse regole di circolazione degli immobili, sia per quanto attiene al rispetto delle

apposite regole legate alla normativa urbanistico-edilizia, sia per quanto coinvolge i profili di

regolarità catastale (in specie dopo il D.L. n.78 del 2010).

Le possibili divergenze in ordine all’inquadramento dell’impianto come mobile o immobile

possono incidere sulla natura del contratto tramite il quale si consente l’installazione su un

determinato bene dell’impianto stesso, in quanto solo configurando l’impianto come “immobile” è

possibile fare ricorso allo schema della costituzione di diritto di superficie (su tali problematiche ed

in genere sul rapporto tra la nozione di immobile di cui all’art. 812 c.c. e la nozione di costruzione

di cui all’art. 952 c.c. v. lo studio civilistico 221/2011 sopra citato).

2. La qualificazione dell’impianto come bene mobile od immobile nell’interpretazione

dell’amministrazione finanziaria

La qualificazione dell’impianto fotovoltaico quale bene mobile od immobile (ed in specie

quale costruzione ai sensi dell’art. 952 c.c.), oltre a porre le questioni civilistiche sopra accennate,

presenta degli specifici aspetti di problematicità in campo tributario che non appaiono ad oggi del

tutto superati ed anzi, nell’ambito della stessa pubblica amministrazione, sono evidenziati da

posizioni non uniformi assunte dall’Agenzia delle Entrate e dall’Agenzia del territorio.

Invero quest’ultima, prendendo in esame la fattispecie dal punto di vista degli obblighi di

accatastamento gravanti sul titolare dell’impianto, ha ritenuto nella Ris. 6.11.2008 n. 3/T che gli

immobili ospitanti gli impianti fotovoltaici si qualificano senza dubbio come unità immobiliari che

devono essere accertate nella categoria “D/1-opifici”, equiparando gli stessi alle turbine delle

centrali elettriche (5).

Al contrario, secondo la medesima Agenzia, non assumono autonoma rilevanza catastale,

costituendo semplici pertinenze delle unità immobiliari cui accedono, le porzioni di fabbricato

ospitanti impianti di produzione di energia aventi modesta potenza e destinati prevalentemente ai

consumi domestici.

In senso ben diverso si è pronunciata l’Agenzia delle Entrate che, fin dalla Circ. 19.7.2007 n.

46/E, ha ritenuto che “l’impianto fotovoltaico situato su un terreno, non costituisce impianto

infisso al suolo, in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli solari) possono

essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria

4

funzionalità”. Ed anche da ultimo l’Agenzia, ritornando sulla questione nella Circ. 23.6.2010 n.

38/E (punto 1.8 a), ha ulteriormente precisato che detti impianti, ancorché “stabilmente” e

“definitivamente” incorporati al suolo (e quindi, civilisticamente, beni immobili ai sensi dell’art.

812 c.c.), debbono essere pur sempre considerati beni mobili “purché possano essere rimossi e

utilizzati per le medesime finalità senza “antieconomici” interventi di adattamento” (per tale

concetto si è richiamata l’analoga impostazione adottata dalla Circ. 11.4.2008 n. 38 relativa agli

impianti aventi diritto al beneficio del credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate ai

sensi della legge 296/2006).

Ne deriverebbe pertanto l’emersione a livello tributario di una sorta di tertium genus,

sconosciuto al codice civile, di beni che in quanto stabilmente incorporati al suolo dovrebbero

ritenersi “immobili”, ma che per il fatto di poter essere separati dallo stesso senza alterarne la

funzionalità o di poter essere riutilizzati in altro contesto con le medesime finalità senza

antieconomici interventi di adattamento sarebbero equiparati ai beni mobili (6).

Vero è che, da ultimo, con la circ. 11 marzo 2011 n. 12 in tema di applicazione di imposta

sostitutiva di cui all’art. 1, comma 16, della legge 220/2010 in presenza di contratti di leasing

immobiliari in corso al 1 gennaio 2011, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che l’imposta stessa si

applichi anche ai contratti di leasing stipulati per la realizzazione di impianti fotovoltaici (7). Con

ciò, a quanto pare, considerando tali contratti dei leasing immobiliari e, pertanto, riconoscendo

implicitamente la natura immobiliare dell’impianto. Tale ultimo orientamento di prassi

amministrativa sembra dunque indicare (quanto meno) un avvicinamento tra la posizione delle

due Agenzie in ordine alla qualificazione degli impianti in questione, nel senso di una ormai

concorde qualificazione immobiliare delle vere e proprie “centrali fotovoltaiche”, da accatastarsi,

come sopra già accennato, in categoria D/1.

La tendenza sembra dunque quella di distinguere:

a) i piccoli impianti fotovoltaici, destinati in prevalenza alla copertura dei consumi domestici,

i quali, anche fiscalmente, non hanno una propria autonomia reddituale e non devono quindi

essere autonomamente accatastati, potendo al limite solo incidere sulla rendita attribuibile al

fabbricato di cui costituiscono pertinenza;

b) le centrali o parchi fotovoltaici, impianti questi che tendono alla produzione di energia

elettrica di fonte fotovoltaica destinata alla vendita, suscettibili, come tali, di un’autonoma

redditività e, pertanto, soggetti ad accatastamento alla stregua di beni immobili (ove, come

normalmente avviene, si realizzi il presupposto di unione al suolo di cui all’art. 812 c.c.)

5

A tali fini il criterio maggiormente utilizzato dagli interpreti per operare la distinzione tra le

due fattispecie di cui sopra è quello relativo alla potenza dell’impianto stesso ed il limite tra piccoli

impianti e centrali fotovoltaiche è spesso individuato nei 20 Kw, limite entro il quale è possibile

usufruire del servizio di scambio sul posto, mediante il quale il soggetto utilizza per il proprio

fabbisogno l’energia prodotta, ma non può vendere l’energia prodotta in eccesso ed immessa in

rete (v. al riguardo la dettagliata esplicazione contenuta nella circ. 19 luglio 2007, n. 46/E). (7bis)

3. Il trattamento tributario degli atti preordinati all’installazione dell’impianto

Poste le superiori premesse, si può passare ad esaminare, innanzitutto, il regime tributario

degli atti con i quali si preordina l’installazione di un nuovo impianto su bene altrui.

3.1. Il ricorso al rapporto di locazione/affitto

Quanto agli atti relativi ai terreni, si può prendere in primo luogo in considerazione la

locazione degli stessi, distinguendo al riguardo tra le due ipotesi del locatore che agisca o non

agisca in attività d’impresa.

Allorché il locatore non agisca nell’esercizio dell’impresa, l’atto è assoggettato ad imposta di

registro applicandosi quanto all’aliquota l’alternativa di cui all’art. 5 della tariffa, parte prima, che

prevede per l’affitto di fondi rustici quella dello 0,50% e per la locazione degli altri immobili quella

del 2%.

Per verificarsi la fattispecie dell’affitto soggetto all’imposta di registro allo 0,50% occorre

peraltro che si tratti di fondo rustico, ovvero di fondo atto all’utilizzazione agricola, nozione che

appare non del tutto coincidente con quella di “terreno agricolo” (8)

Le tradizionali analisi della figura dell’affitto di fondo rustico – come contratto meritevole di

una peculiare disciplina in considerazione della fissità dei cicli produttivi e dell’alea connessa

all’utilizzazione della terra – poggiavano su una concezione dell’agricoltura legata alla coltivazione

del terreno. Per effetto del D.lgs. 228/2001 si considerano agricole anche attività di cura di una

fase di ciclo biologico e quindi si aprono nuovi orizzonti per la configurazione del “fondo rustico”

ma, non essendo questa la sede per una trattazione al riguardo, ci si limita a farne cenno, avendo

cura di evidenziare che la normativa sull’affitto, contenuta nelle leggi speciali (9), pare ammettere

la ricorrenza della fattispecie in esame anche prescindendo dall’attività dell’affittuario. (9bis)

Al riguardo, l’affittuario deve curare la gestione della cosa produttiva in conformità della

destinazione economica e dell’interesse della produzione (art. 1615 c.c.); si ritiene inoltre che lo

stesso sia (normalmente) imprenditore (10), senza peraltro che egli sia costretto a divenirlo, non

6

essendo vincolato a destinare il prodotto al mercato (11). Si ammette, perciò, la ricorrenza

dell’affitto anche in presenza di affittuario non imprenditore.

Riguardo alla produzione di energia fotovoltaica, si deve tener presente anche della

disposizione (che sarà più avanti oggetto di approfondimento) in base alla quale la stessa è

considerata attività agricola connessa, ai sensi dell’art. 1 comma 423 della legge n.266 del

23.12.2005, come modificato dall’art. 1 comma 369 della legge n.296 del 27.12.2006 (12) e quindi

attività che, se svolta da chi eserciti le attività indicate nell’art.2135 c.c., si considera a sua volta

agricola, così fugando, in questo ambito, ogni pur residuo dubbio di inquadramento della

concessione in godimento del terreno come affitto di fondo rustico, ove l’affittuario sia un

imprenditore agricolo (e quindi svolga attività principale agricola) che si proponga di produrre

anche energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche.

Con le precisazioni che precedono, nei casi in cui non possa configurarsi l’affitto di fondo

rustico, la concessione in godimento andrà inquadrata nella locazione, scontando l’imposta di

registro con aliquota 2%.

Allorché il concedente agisca nell’esercizio d’impresa, la concessione in godimento assume le

seguenti caratteristiche tributarie:

a) quando abbia per oggetto terreni ed aziende agricole o terreni non suscettibili di

utilizzazione edificatoria, è prestazione di servizi assoggettata ad iva ma, ai sensi dell’art. 10 n. 8,

l’operazione è considerata esente, per cui sconta l’imposta di registro proporzionale. Si noti che la

previsione riguarda tutti i terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria e non solamente i

terreni agricoli. Pur con taluni tentennamenti, in giurisprudenza non si ritengono suscettibili di

utilizzazione edificatoria né i terreni agricoli su cui siano realizzabili costruzioni a servizio del

fondo, né quelli su cui possano realizzarsi manufatti marginali o minimali (13);

b) quando abbia per oggetto terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, anche in base a

strumenti urbanistici adottati e non ancora approvati (14), l’operazione è soggetta ad iva con

aliquota 20% e, in base al principio di alternatività, sconta l’imposta di registro in misura fissa.

Per quanto attiene all’imposta di bollo dovuta in modo forfetario per la registrazione

telematica con l’adempimento unico, l’importo è di euro 45,00 (Tariffa dell’imposta di Bollo, D.P.R.

642 del 26.10.1972, Art. 1 comma 1-bis.1 n. 4) sia per la locazione, sia per l’affitto, ma, ove si tratti

di contratto assoggettato a trascrizione (in quanto, come spesso si verificherà nel nostro caso,

ultranovennale) la misura del bollo è elevata ad Euro 155; a tali atti non è applicabile l’esenzione

7

dal bollo di cui all’art. 21 della Tabella D.P.R. 642/1972, che riguarda solamente gli atti di

trasferimento.

Quanto alla pubblicità immobiliare, è da rilevare che, in base all’art. 41 della legge n.203 del

1982, la mancanza di trascrizione non incide sull’efficacia riguardo ai terzi, così derogandosi all’art.

2643 n.8, ma ciò vale solamente per i contratti di affitto a conduttore coltivatore diretto. Per

contro, nel caso di affitto a conduttore non coltivatore diretto, tale deroga non vale (v. art. 23

della medesima legge n.203/’82) e quindi l’efficacia riguardo ai terzi si consegue solamente con la

trascrizione.

Relativamente all’imposta ipotecaria, il contratto di locazione/affitto ultranovennale non

sconta imposta di trascrizione proporzionale, bensì in misura fissa, poiché l’imposta proporzionale

è dovuta solo per gli atti che comportano costituzione o trasferimento di diritti reali (art. 4 Tariffa

d.lgs. 347/’90).

L’imposta catastale non è naturalmente applicabile.

3.2.Il ricorso al diritto di superficie

L’imposizione si articola in modo ben diverso quando il contratto è stipulato quale

concessione di diritto di superficie.

3.2.1. La costituzione ed il trasferimento del diritto di superficie su terreni da parte di

cedente-costituente che non agisca nell’esercizio d’impresa, seguono le regole dettate per gli atti

aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali. Pertanto, tali atti sono così

regolati:

a) Costituzione/trasferimento di superficie su terreno agricolo

imposta di registro, 15%

imposta ipotecaria, 2%

imposta catastale, 1%

b) Costituzione/trasferimento di superficie su terreno non agricolo

imposta di registro, 8%

imposta ipotecaria, 2%

imposta catastale, 1%

La base imponibile sarà costituita dal corrispettivo dichiarato dalle parti che, peraltro, potrà

essere oggetto di accertamento da parte dell’ufficio in base al valore venale del diritto di superficie

costituito. Al riguardo risulta assai incerto il criterio in base al quale calcolare tale diritto, non

8

sussistendo, come invece ad esempio per l’usufrutto, una precisa disciplina di legge (v. anche infra

note 18 e 26).

Si ricorda che una, sia pur isolata, pronuncia della Suprema Corte ha ritenuto non applicabile

l’aliquota del 15% agli atti costitutivi di servitù su terreni agricoli, riducendo la portata della

relativa disposizione dell’art.1 Tariffa parte prima TU Registro e ritenendo che “La costituzione di

una servitù (nella specie di elettrodotto) non rientra nella nozione di “trasferimento” contenuto

nell’art. 1, della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in quanto non comporta il trasferimento

di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma soltanto una compressione del diritto di

proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante); quindi alla costituzione di

una servitù su un terreno agricolo non è applicabile l’aliquota d’imposta di registro del 15 per

cento anche quando tale costituzione non avvenga a vantaggio di un operatore agricolo.” (Cass.

Sez.trib., 4 novembre 2003, n. 16495).

Totalmente contraria a tale impostazione è la Ris. n. 92/E-118050 del 22 giugno 2000,

secondo cui l’atto di costituzione di servitù di elettrodotto su terreni agricoli va sottoposto ad

imposta proporzionale con aliquota 15%.

Quand’anche volesse aderire all’orientamento della Cassazione che, si ripete, è rimasto del

tutto isolato, va ricordato quanto in precedenza detto in ordine alla estrema difficoltà di

ricondurre la concessione di utilizzo di un terreno per realizzare un impianto fotovoltaico alla

nozione di servitù; inoltre detto orientamento non riguarderebbe comunque l’atto con cui il diritto

di superficie, già costituito, sia oggetto di trasferimento.

3.2.2. Nel caso in cui il cedente agisca invece nell’esercizio d’impresa, sia la costituzione del

diritto di superficie, sia il suo trasferimento sono soggetti al seguente trattamento tributario:

a) quando tale diritto abbia per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria,

l’atto è considerato cessione di bene non soggetta ad iva, ai sensi dell’art. 2 comma 3 D.P.R.

633/72, norma che precisa altresì che non costituisce utilizzazione edificatoria la costruzione delle

opere “da realizzare nelle zone agricole ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del

fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della

legge 9 maggio 1975, n. 153” (ora IAP).

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate con Ris. n. 112/E del 28 aprile 2009, avuto presente che l’art.

12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003 stabilisce che gli impianti di produzione di energia

fotovoltaica possono essere ubicati anche in aree classificate come zone agricole dai vigenti piani

urbanistici, ha ritenuto, ai fini fiscali, che valga al riguardo la destinazione prevista dallo strumento

9

urbanistico, asserendo che la costruzione dell’impianto fotovoltaico non comporti l’automatica

classificazione del terreno (sul quale lo stesso sorge) quale “area edificabile”. Pertanto, risultando

nella specie che lo strumento urbanistico vigente nel Comune interessato non aveva modificato la

destinazione urbanistica dei terreni destinati a tale utilizzazione e che la contemporanea

possibilità dell’utilizzo agricolo del terreno e dell’installazione sullo stesso di impianti fotovoltaici è

coerente con le disposizioni urbanistiche vigenti, ha ritenuto che il terreno sul quale si intende

costituire il diritto di superficie è da qualificare come terreno non suscettibile di utilizzazione

edificatoria e, per tale motivo, fuori dal campo di applicazione IVA ai sensi del citato art. 2, comma

3, del D.P.R. n. 633 del 1972;

b) quando l’atto in questione si riferisca a terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria,

anche in base a strumenti urbanistici adottati e non ancora approvati (15), l’operazione è

assoggettata ad iva con aliquota del 20% e, per il principio di alternatività, sconta le imposte fisse

di registro, ipotecaria e catastale.

Si deve precisare al riguardo che in caso di cedente/costituente imprenditore agricolo,

l’assoggettamento ad iva presuppone che si tratti di bene già utilizzato per l’attività (e pertanto

relativo all’impresa). (16)

Si ricorda infine che, in maniera piuttosto apodittica, l’amministrazione finanziaria ha

ritenuto (ris. 10 settembre 1991, prot. 430065) che la cessione di un terreno solo parzialmente

edificabile con pattuizione di un prezzo indistinto non sia soggetta a Iva.

3.3 Impianto fotovoltaico realizzato su edifici

Del tutto speculare a quella dei terreni è la tassazione degli atti con i quali si concede la

possibilità di realizzare un impianto fotovoltaico con riferimento ad un fabbricato, che, di regola,

sarà costituito da un’area urbana ovvero dalla copertura (tetto o lastrico solare) di un edificio.

Come già sopra accennato con riferimento ai terreni, se locatore è un privato il contratto

sconterà l’imposta di registro nella misura del 2% ai sensi dell’art. 5 tariffa, parte prima, D.P.R.

131/1986, su un imponibile costituito dai canoni pattuiti per tutta la durata del contratto; l’unica

differenza rispetto ai terreni è che in tal caso l’aliquota sarà sempre del 2%, non sussistendo spazio

per l’applicabilità dello 0,50% previsto per i fondi rustici (17). Al riguardo, mentre non risulta

possibile frazionare annualmente l’imposta quando, come nell’ipotesi esaminata al precedente

paragrafo 3.1, si tratti di terreni, in quanto l’art. 17, 3 c., del D.P.R. 131/1986 ammette questa

forma solo per i contratti di locazione di “immobili urbani” di durata pluriennale (non quindi

sicuramente per i terreni), il frazionamento appare invece ammissibile nella fattispecie in esame,

10

ossia quando oggetto della locazione siano aree urbane o coperture di edifici (ad esempio lastrici

solari).

Se invece il locatore agisce nell’esercizio dell’impresa l’operazione risulterà ordinariamente

soggetta ad IVA con aliquota del 20%, non rientrando nella fattispecie di esenzione prevista

dall’art. 10, n. 8, D.P.R. 633/1972 con riferimento ai terreni agricoli.

Per quanto concerne invece l’ipotesi di concessione/costituzione di diritto di superficie, ove

il proprietario del fabbricato o dell’area non agisca nell’esercizio d’impresa, l’atto sconterà

l’imposta di registro con le aliquote del 7% (fabbricato) o dell’8% (aree urbanee) su un imponibile

rappresentato dai corrispettivi pattuiti dai contraenti, imponibile teoricamente soggetto a

controllo e rettifica ai sensi degli artt. 51 e 52 del D.P.R. 131/1986 (18), in base al valore venale del

diritto di superficie costituito.

Ove al contrario il cedente/costituente agisca nell’esercizio dell’impresa il trattamento

tributario è più articolato.

Se la concessione si riferisce ad un fabbricato abitativo o ad un’area urbana si renderà

applicabile l’art. 10, n. 8-bis, del D.P.R. 633/1972 (19)

Pertanto la costituzione, assimilata a cessione dalla normativa IVA:

se relativa a fabbricato abitativo,

– è soggetta ad IVA, ove cedente sia l’impresa costruttrice o che vi abbia eseguito, anche

tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e),

della legge 5 agosto1978, n. 457, entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o

dell’intervento (o anche successivamente nel caso in cui entro tale termine i fabbricati siano stati

locati per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia

residenziale convenzionata);

l’atto è registrato con corresponsione di imposte fisse di registro, ipotecaria e catastale;

– è esente da IVA in tutti gli altri casi scontando le ordinarie imposte di registro.

Se al contrario la concessione del diritto di superficie abbia ad oggetto un immobile

strumentale all’esercizio di attività commerciale, non suscettibile di diversa destinazione senza

radicali trasformazioni (20),la cessione si qualificherà come esente IVA (e pertanto soggetta ad

imposta di registro) avendo ad oggetto un immobile “strumentale per natura” ai sensi dell’art. 10,

comma 8-ter, del D.P.R. 633/1972.

L’esenzione ai sensi del medesimo comma 8-ter è peraltro derogata, tornandosi alla

ordinaria imponibilità IVA, ove:

11

a) la cessione sia effettuata dal costruttore o dall’esecutore della ristrutturazione nei quattro

anni dall’ultimazione dei lavori;

b) la cessione avvenga nei confronti di soggetti IVA che svolgono attività che consente una

detrazione IVA pari o inferiore al 25%;

c) il cessionario non agisca nell’esercizio di impresa, arti o professioni (costituendo pertanto

il cd. consumatore fiscale);

d) il cedente manifesti nell’atto l’opzione per l’imponibilità.

In due di tali fattispecie, precisamente in quelle di cui alle precedenti lettere b) (cessionario

con percentuale di detraibilità IVA ridotta) e d) (opzione volontaria per la l’imponibilità) si renderà

inoltre applicabile il particolare regime di cui all’art. 17, 6 c., D.P.R. 633/1972, cosiddetto di

reverse-charge (o inversione contabile), che consiste, come è noto, nello spostamento della

soggettività passiva in capo al cessionario, il quale è tenuto ad integrare la fattura, emessa dal

cedente senza esposizione dell’IVA, con l’indicazione dell’aliquota e dell’imposta e con

conseguente annotazione della fattura stessa sia nel registro degli acquisti che in quello delle

vendite (talché l’operazione permane neutra per il cessionario).

Altra peculiarità è poi che, anche nei casi in cui la cessione risulti esente ai sensi del comma

8-ter, l’imposta di registro risulterà comunque dovuta in misura non proporzionale ma fissa (Euro

168), in quanto l’art. 40 del D.P.R. 131/1986, dettato in tema di alternatività IVA-registro, assimila

le operazioni esenti alle operazioni imponibili (cui è applicabile la sola imposta fissa) con la (sola)

esclusione delle operazioni di cui all’art. 10 commi 8, 8-bis e 27-quinquies; pertanto le operazioni

esenti di cui al suddetto comma 8-ter permangono ricomprese nella assimilazione alle operazioni

imponibili operata dall’art. 40, primo comma; cosicché risulterà appunto applicabile a tali

operazioni, ancorché esenti, la sola imposta di registro fissa e non proporzionale.

Di converso le imposte ipotecarie e catastali risulteranno dovute, per tutte le cessioni

disciplinate dal comma 8-ter (sia esenti sia imponibili), non solo in misura proporzionale ma con

aliquota rafforzata quanto all’imposta ipotecaria ossia del 3% e non del 2% (mentre la catastale è

sempre dell’1%). Ciò per effetto delle modifiche introdotte all’art. 1 tariffa del d.lgs. 347/1990 dal

più volte ricordato D.L. 223/2006.

Un caso peculiare, con riferimento agli immobili strumentali per natura, è quello del lastrico

solare. Invero, seguendo il rigido criterio proposto dall’amministrazione, collegato

all’accatastamento del bene in categoria B, C, D e A/10, si potrebbe dubitare che tali possano

risultare i lastrici, in quanto accatastabili in categoria F/5.

12

In realtà più elementi convincono al contrario di ritenere i lastrici fabbricati strumentali,

quanto meno nei casi in cui il loro autonomo accatastamento sia realizzato dallo scorporo da un

fabbricato avente tale connotazione. Ciò, in primo luogo, in quanto la categoria F è, per così dire,

fiscalmente neutra, dal momento che non comporta un’attribuzione di rendita ed è unicamente

finalizzata ad una corretta rappresentazione del territorio, funzionale ad atti traslativi e/o

costitutivi di diritti reali. Inoltre il lastrico è pur sempre porzione di un fabbricato sottostante che,

per l’appunto, si suppone strumentale per natura (21). Infine, nella fattispecie che ci riguarda,

l’accatastamento in categoria F/5 è preordinato ad un successivo accatastamento definitivo che,

una volta realizzata la centrale fotovoltaica, sarà in categoria D/1.

Il medesimo regime sopra richiamato inerente alla cessione dei fabbricati strumentali

risulterà del pari applicabile in caso di trasferimenti dell’impianto fotovoltaico già realizzato in

base alla costituzione di un diritto di superficie.

Infatti in tale ipotesi il contratto (di cui si suppone, ovviamente, l’onerosità) avrà ad oggetto

un diritto reale (la proprietà superficiaria) su un immobile che di regola, ove si tratti di impianto di

dimensioni non modeste, risulterà accatastato, in base ai criteri di massima sopra evidenziati, in

categoria D/1 (e quindi strumentale per natura). Di regola, ancora, il cedente risulterà un

imprenditore (individuale o società avente forma commerciale) in quanto trattasi di colui che, in

base al diritto di superficie che è stato costituito in ordine al terreno, ha realizzato l’impianto e lo

ha fino a quel momento sfruttato. Vero è, al riguardo, che l’ipotesi più realistica è quella che il

trasferimento avvenga nell’ambito di una cessione d’azienda. È peraltro noto che l’art. 23 T.U.R.

prevede al riguardo una tassazione ai fini dell’imposta di registro (22) sostanzialmente atomistica e

pertanto il trasferimento dell’impianto fotovoltaico sarà assoggettato, nell’ambito della cessione

dell’azienda quale universitas alle medesime regole sopra evidenziate con riferimento alla

concessione di diritto di superficie su fabbricati strumentali.

In caso invece di conferimento, parimenti escluso da IVA, si applicherà in ogni caso l’imposta

di registro in misura fissa (art. 4 n. 3 tariffa, parte prima, T.U.R.) (23); egualmente le imposte

ipotecarie e catastali saranno dovute in misura fissa ai sensi degli artt.10 e 1, tariffa, d.lgs.

347/1990.

Ovviamente in tali ipotesi il terzo acquisterà un diritto identico a quello del suo dante causa

e pertanto, ad esempio, soggetto al medesimo limite di durata pattuito nel contratto originario.

4. Gli impianti fotovoltaici: profili fiscali ai fini delle imposte dirette

4.1. Plusvalenze da cessione di terreni agricoli o edificabili

13

L’art. 67, lett. b) del Tuir prevede la tassabilità delle plusvalenze realizzate mediante cessione

a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni fatta eccezione

per gli immobili, terreni o fabbricati, acquisiti per successione e per le unità immobiliari urbane

che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono

state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.

Sono invece sempre tassabili le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di

terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento

della cessione.

In relazione alla tassazione delle plusvalenze immobiliari infraquinquennali è necessario

evidenziare come il limite temporale posto, evidenzi la volontà del legislatore di tassare solo le

plusvalenze aventi natura speculativa. La tassabilità o meno della plusvalenza è stata limitata

nell’ambito un quinquennio; oltre detto periodo non potrà più presumersi il carattere speculativo

dell’operazione di acquisto e la successiva vendita del bene (24).

4.2. Plusvalenze realizzate a seguito di costituzione o cessione di diritti reali di godimento

(25)

Il trattamento fiscale della cessione a titolo oneroso del diritto di superficie su un terreno

agricolo da parte di una persona fisica o di una società ad un’altra esercente l’attività di

produzione di energia fotovoltaica, che sta caratterizzando in questi ultimi anni il trasferimento di

beni e diritti per la produzione delle energie rinnovabili, deve essere equiparato alla

compravendita di un immobile in quanto comporta la costituzione o il trasferimento di un diritto

reale di godimento di beni immobili.

L’art. 9 del Tuir considera cessioni a titolo oneroso anche la costituzione di diritti reali di

godimento; quindi possono originare plusvalenze tassabili, ex art. 67, lett. b) del Tuir, se maturate

da meno cinque anni al momento del realizzo, i corrispettivi percepiti per la costituzione di servitù

prediali o diritti di superficie.

In tal senso, l’Amministrazione finanziaria, con la risoluzione 10 ottobre 2008, n. 379/E ha

chiarito che la costituzione di una servitù va ricondotta all’art. 67 comma 1, lett. b), primo periodo,

del Tuir, concernente le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di beni

immobili.

Pertanto, il corrispettivo percepito in caso di cessione di un diritto di superficie da parte di

un soggetto persona fisica, entro il quinquennio dalla data dell’acquisto, può originare un reddito

diverso ex art. 67 comma 1 lett. b) del Tuir.

14

Se si tratta di una cessione del diritto di superficie da parte di persona fisica avvenuta nel

quinquennio di un terreno acquistato a titolo derivativo la plusvalenza sarà determinata ai sensi

dell’art. 68 primo comma del Tuir. Essa sarà pertanto costituita dalla differenza tra i corrispettivi

percepiti ed il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di altri

eventuali costi inerenti il bene.

In merito al calcolo della plusvalenza si porrà il problema della determinazione della

differenza tra i due valori in quanto solitamente il valore originario sarà costituito dal prezzo della

piena proprietà del terreno. Si tratta evidentemente di due valori non omogenei ed in quanto tali

difficilmente comparabili.

Il legislatore, come innanzi evidenziato, non prevede un criterio per la determinazione del

diritto di superficie, pertanto per la corretta determinazione del valore originario si dovrà ridurre il

valore della piena proprietà (ad es. del 50%) (26).

La differenza tra il valore di acquisto del terreno (ridotto al valore del diritto di superficie, al

fine di renderlo omogeneo) ed il corrispettivo della cessione del diritto di superficie costituirà la

plusvalenza tassabile, sempre che il diritto di godimento sia trasferito nel quinquennio rispetto alla

data di acquisto.

È necessario, altresì, precisare che nel caso in cui il pagamento della cessione del diritto di

superficie avvenga mediante “canoni periodici” si applicherà l’art. 68 comma 7 lett. f) del d.p.r.

917/86.

Se invece si tratta di cessione di diritto di superficie su un terreno agricolo posseduto da più

di cinque anni da parte di persona fisica non si realizzerà, ai sensi dell’art. 67 comma 1 lett. b) del

Tuir, alcuna plusvalenza imponibile.

Se il percettore è un soggetto che produce redditi d’impresa (persona fisica o giuridica) il

corrispettivo percepito dal proprietario del terreno agricolo costituirà, invece, una plusvalenza

imponibile ai sensi dell’articolo 86, comma 4, del Tuir. Con riferimento alle modalità di

determinazione della plusvalenza, l’Amministrazione con Ris. 112/2009 ha evidenziato che non

potendosi ricorrere al confronto tra il corrispettivo incassato ed il costo storico del bene, così

come disciplinato dall’art. 86, comma 2, del TUIR, in quanto non si tratta di una cessione del diritto

di proprietà, la plusvalenza, pari al corrispettivo conseguito, dovrà essere rilevata come

componente positivo di reddito che, in presenza dei presupposti previsti dall’articolo 86, comma 4,

del TUIR, possesso del bene per un periodo non inferiore a tre anni, potrà essere rateizzata.

15

In merito alla natura agricola o edificabile dei terreni è opportuno chiarire che in caso di

cessione di terreni o del diritto di superficie su cui verrà installato un impianto fotovoltaico si è in

presenza, solitamente di terreni agricoli e non di terreni edificabili.

Con la Ris. n. 112/2009 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, come illustrato nei paragrafi

precedenti, che la costituzione del diritto di superficie su un terreno agricolo per la realizzazione di

un impianto di produzione di energia da fonte fotovoltaica non muta la natura del terreno che

resterà agricolo.

L’Agenzia ritiene che l’area destinata all’installazione dei pannelli fotovoltaici non possa

essere considerata un’area suscettibile di utilizzazione edificatoria in quanto il diritto oggetto di

trasferimento concerne un’area agricola. Infatti, l’autorizzazione alla costruzione dell’impianto

fotovoltaico sui terreni in esame (parte di una zona territoriale omogenea di preminente interesse

agricolo), non comporta una variazione della destinazione urbanistica degli stessi, in quanto

permane la possibilità di utilizzazione per scopi agricoli.

Nel caso in cui oggetto della cessione sia, invece, un terreno edificabile, inserito nel PRG,

troverà applicazione l’art. 67 comma 1, lett. b) del Tuir che prevede la tassazione della plusvalenza.

È necessario soffermarsi, inoltre, sulla provenienza dei terreni e sull’applicazione dell’art. 67

del TUIR nel caso in cui l’acquisto del bene non sia stato effettuato a titolo derivativo.

Infatti, nel caso in cui il terreno sia pervenuto per successione i relativi canoni corrisposti a

seguito della cessione del diritto di superficie non costituiranno una plusvalenza tassabile ai sensi

del disposto dell’art. 67 lett. b) citato considerato che la cessione del diritto di superficie deve

essere equiparata alla cessione di beni immobili non sembra potersi individuare alcuna

plusvalenza tassabile.

L’intenzione di tassare soltanto le plusvalenze speculative trova, infatti, conferma

nell’esclusione limitatamente agli immobili pervenuti al soggetto per successione, in

considerazione dell’acquisizione dello stesso attraverso un evento non preordinato. Pertanto, una

successiva vendita ravvicinata degli stessi beni immobili non cela alcun intento speculativo

considerato il titolo di provenienza del bene.

L’equiparazione del trasferimento di un diritto reale di godimento al trasferimento del diritto

di proprietà, non consente, neanche, l’applicazione dell’art. 67 lett. l) del Tuir in relazione

all’obbligo di permettere (concedere a terzi l’utilizzo del terreno).

Il diritto di superficie, seguendo detta interpretazione “si atteggerebbe” limitatamente al

caso di cessione infraquinquennale come una cessione di bene immobile con relativa tassazione

della plusvalenza, ed invece, come un obbligo di permettere in caso di cessione del diritto oltre il

16

quinquennio o nel caso di provenienza non sia a titolo derivativo ciò al solo scopo economico di

recuperare a tassazione la plusvalenza che invece il disposto dell’art. 67 lett. b) esclude per

mancanza di alcun intento speculativo. Detta interpretazione appare del tutto incoerente: la

cessione del diritto di superficie è, come innanzi chiarito, anche alla luce delle più recenti

interpretazioni ministeriali assimilabile alla cessione di beni immobili ai sensi dell’art. 9 del Tuir,

pertanto è applicabile in toto il disposto normativo dell’art. 67 lett. b) del Tuir (27).

Inoltre è da escludere che la tassazione della cessione del diritto di superficie possa essere

equiparata alla cessione del diritto di usufrutto previsto dall’art. 67 lett. h) del Tuir. Appare infatti

evidente che il legislatore abbia voluto espressamente prevedere la tassazione della plusvalenza in

caso di cessione del diritto di usufrutto, mentre non ha annoverato nel dettato normativo altri

diritti reali di godimento. Il divieto di applicazione analogica non può essere superato da

un’interpretazione ministeriale risalente nel tempo avente ad oggetto la concessione di usufrutto

trentennale (28).

In merito all’Irap, per effetto delle disposizioni di cui al comma 3, dell’art. 5, del D.Lvo n.

446/97, come modificato dalla Finanziaria 2008 (L. n. 244 del 24/12/2007), in base alla quale “…le

plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di immobili, che non costituiscono beni

strumentali, concorrono alla determinazione del valore della produzione…”, la cessione del diritto

di superficie farà emergere una plusvalenza tassabile.

5. Il regime pex per le società che operano nel settore delle energie rinnovabili

In base all’art. 87 comma 1, lett d) del Tuir ulteriore requisito a fini dell’applicazione della

pex è quello della commercialità, cioè l’esercizio da parte della società partecipata di una impresa

commerciale secondo la definizione di cui all’art. 55 del Tuir.

Il successivo comma 2 del predetto articolo dispone, inoltre, che detto requisito debba

sussistere ininterrottamente almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo

stesso. Pertanto, in caso di cessione di partecipazione da parte di una società esercente attività nel

settore delle energie rinnovabili sarà necessario verificare se sussista o meno, al di là della

dotazione di beni, l’esercizio di una impresa commerciale come previsto dal citato art. 87 comma 1

lett d) e comma 2.

Come noto il concetto d’impresa commerciale ai sensi dell’art. 55 del Tuir ricomprende sia le

attività dell’art. 2195 c.c., ma anche quelle previste dal comma 2 dell’art. 55 cit. che reca

un’elencazione aggiuntiva di reddito d’impresa, pertanto, sarà necessario esaminare caso per caso

17

se l’attività esercitata dalla società di cui si vuole cedere la partecipazione sia effettivamente

attività d’impresa (29).

Nel caso delle società operanti nel settore delle energie rinnovabili sarà necessario verificare

l’effettiva attività d’impresa consistente nello sfruttamento economico degli immobili e non nella

mera utilizzazione passiva degli stessi analogamente alle cd. immobiliari di gestione. Come verrà

meglio precisato nel paragrafo successivo, le attività propedeutiche per dette società operanti nel

settore delle energie rinnovabili è finalizzata ad una attività produttiva che potrebbe però

realizzarsi dopo un lungo periodo di attività preliminari, ciò potrebbe determinare un mancato

esercizio dell’attività commerciale e quindi la possibilità di usufruire dell’applicazione entro i

termini previsti dall’art. 87 comma 2 del Tuir, dell’applicazione della partecipation exempion.

Sarà necessario, quindi, valutare caso per caso se le attività propedeutiche possano essere

considerate attività d’impresa ai fini del computo del triennio antecedente al trasferimento delle

partecipazioni ai fini dell’applicazione della parziale esenzione ex art. 87 del Tuir.

5.1 Cenni sulla disapplicazione della disciplina delle società di comodo

La costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici ed eolici spesso viene realizzata attraverso

cd. società veicolo. Dette società devono eseguire una serie di attività propedeutiche quali ad es.

reperimento dei terreni necessari per l’istallazione degli impianti, richiesta delle relative

autorizzazioni, edificazione degli impianti ed allacciamento alla rete elettrica nazionale.

Analogamente ad altre attività economiche le attività propedeutiche non determinano la

produzione di ricavi, pertanto nel caso in cui dette attività preliminari si prolunghino oltre il primo

anno di attività potrebbero incorrere nell’applicazione della normativa in materia di società di

comodo (30). Detta disciplina sorta con intenti antielusivi a seguito delle modifiche apportate, è

divenuta uno strumento presuntivo di reddito minimo per le società di capitali caratterizzate da

determinati requisiti.

La società, tuttavia, potrà evitare il rischio di un accertamento presentando istanza di

interpello per chiedere la disapplicazione della normativa sulle società di comodo: la società

veicolo potrà in tal modo giustificare la propria attività meramente propedeutica alla realizzazione

di impianti o parchi fotovoltaici e quindi la sussistenza di una reale attività imprenditoriale in fieri e

non una mera attività di godimento.

5.2 Le operazioni di conferimento: applicabilità dell’art.176 del Tuir

18

Se la cessione della partecipazione in società che operano nel settore delle energie

rinnovabili avverrà mediante conferimento di azienda, il conferente ai sensi dell’art. 176 del Tuir

non realizzerà alcuna plusvalenza fiscalmente rilevante a prescindere dal valore contabile

attribuito alle partecipazioni ricevute, o dal valore contabile attribuito all’azienda nelle scritture

contabili del conferitario.

Si ricorda che per poter applicare il regime di esenzione è necessario che l’oggetto della

cessione sia un’ azienda e non un complesso di beni (31).(Sulla nozione di azienda si rinvia allo

Studio n. 81/09/T, M. Basilavecchia, M.P. Nastri, V. Pappa Monteforte).

Al conferimento d’azienda si applicheranno le imposte di registro, ipotecaria e catastale in

misura fissa.

5.3 L’ammortamento fiscale degli impianti di energie rinnovabili

Il problema della corretta qualificazione immobiliare o mobiliare degli impianti fotovoltaici

crea ulteriori problemi in merito all’ammortamento.

Infatti, l’ammortamento dei terreni su cui insiste un fabbricato strumentale o un impianto

utilizzato per l’esercizio dell’impresa non è fiscalmente deducibile ai sensi dell’art. 36, d.l.

223/2006.

Quindi, se consideriamo gli impianti fotovoltaici beni immobili, l’ammortamento dei terreni,

non sarà fiscalmente deducibile; il costo del suolo se acquistato insieme con il fabbricato

strumentale o di un impianto (beni non distintamente acquistati e contabilizzati) dovrà essere

determinato con una perizia giurata redatta da un tecnico iscritto all’albo e comunque in misura

non inferiore al 20% ovvero se fabbricati industriali al 30% del costo complessivo.

Il costo degli impianti su cui calcolare gli ammortamenti sarà, quindi, calcolato al netto del

costo del suolo occupato dagli stessi e delle relative pertinenze.

È escluso, altresì, anche il costo relativo all’acquisto del diritto di superficie su cui insiste un

impianto strumentale per la produzione di energia rinnovabile.

Viceversa, se consideriamo gli impianti fotovoltaici beni mobili saranno ammortizzati

secondo il coefficiente previsto per detti beni.

Tuttavia, anche in merito al coefficiente di ammortamento degli impianti fotovoltaici,

sorgono degli interrogativi, tenuto conto che non è previsto nelle tabelle ministeriali un

coefficiente specifico per le predette imprese.

È ormai pacifica la possibilità di applicare coefficienti relativi ai medesimi beni appartenenti

ad una diversa tipologia di imprese/attività, in quanto la mancata previsione di un bene

19

ammortizzabile nell’ambito di un gruppo non ne esclude il carattere strumentale e quindi la

possibilità di ammortamento ai fini fiscali (32).

Secondo, l’orientamento dell’Agenzia delle entrate il periodo di ammortamento degli

impianti fotovoltaici, quali beni mobili, detenuti in proprietà è pari ad undici anni con l’aliquota

massima di ammortamento del 9% (33); se, invece, l’impianto sarà accatastato come opificio dovrà

essere ammortizzato con l’aliquota del 4% prevista per i fabbricati utilizzati nell’ambito

dell’industria termoelettrica (34).

È quindi auspicabile un intervento legislativo che preveda i coefficienti di ammortamento per

le specifiche tipologie d’impianti per la produzione di energie rinnovabili.

Per completezza è opportuno ricordare che gli ammortamenti indicati in bilancio sono

deducibili ai fini Irap; infatti, non hanno più rilievo le disposizioni Ires che impongono ai fini della

deducibilità il calcolo delle quote di ammortamento con applicazione di aliquote non superiori a

quelle stabilite con apposito decreto ministeriale.

6. Il leasing di impianti fotovoltaici

Il leasing di impianti fotovoltaici è, come noto, una forma di finanziamento finalizzata

all’acquisto dell’impianto da parte del locatario.

L’utilizzo del leasing non comporta particolari peculiarità in relazione alla deducibilità degli

oneri finanziari rispetto ad altre forme di finanziamento eccetto che per gli interessi passivi.

Per le società utilizzatrici che redigono il proprio bilancio in base ai principi contabili nazionali

la contabilizzazione avviene secondo il metodo patrimoniale: l’utilizzatore iscriverà al conto

economico i canoni di leasing (capitale e interessi) tra i costi di godimento dei beni di terzi.

Nel bilancio delle società locatarie non risulterà, quindi, iscritto nè il bene oggetto del

leasing, né il debito.

Diversamente per le società che utilizzano la metodologia di contabilizzazione secondo il

metodo finanziario previsto dallo Ias 17 per il financial lease, la società utilizzatrice rileva il bene

nel proprio attivo patrimoniale. In tal modo i beni iscritti in bilancio saranno soggetti ad

ammortamento, analogamente ai beni di proprietà; i beni oggetto di leasing saranno rilevati tra le

attività e la società utilizzatrice contabilizzerà il debito nei confronti del locatore I canoni verranno

contabilizzati come quote di capitale rimborsato (passività dello stato patrimoniale) e quote di

interessi (oneri finanziari del conto economico).

20

La qualificazione mobiliare e immobiliare degli impianti fotovoltaici assume un particolare

rilievo per gli impianti in locazione finanziaria sotto molteplici aspetti:

a) deduzione dei canoni da parte del locatario

In relazione alla durata minima del contratto di leasing di impianti fotovoltaici ai fini della

deduzione dei canoni da parte dell’utilizzatore:

– Se verrà qualificato come contratto di leasing mobiliare: l’art. 102 comma 7 del Tuir (35)

impone una durata minima di 2/3 del periodo ordinario calcolato sulla base del 9% ( 89 mesi per i

soggetti che redigono il bilancio d’esercizio in base ai principi contabili nazionali).

– Se verrà qualificato come contratto di leasing immobiliare:

– Il contratto di leasing dovrà avere una durata minima di 2/3 di 25 anni (200 mesi)

b) ICI

Ai fini ICI per gli immobili concessi in locazione finanziaria, la soggettività passiva ricade sui

soggetti utilizzatori. Infatti, ai sensi dell’art. 3 comma 2 del d.lgs. 504/1992 tale regime è

applicabile agli impianti finiti e a tutti gli immobili finiti o da costruire o in corso di costruzione con

decorrenza per i contratti di leasing stipulati dal 15 agosto 2009 ( art. 8, l. 23 luglio 2009, n. 99).

In tal senso anche il recente orientamento dell’amministrazione finanziaria espresso con la

circolare 11 marzo 2011, n. 12/E dell’Agenzia delle entrate, avente ad oggetto le modifiche alla

disciplina del leasing immobiliare, art.1, co. 15 e 16,della L. 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di

stabilità 2011).

Con tale circolare vengono introdotte delle modifiche normative volte a garantire una

sostanziale equivalenza tributaria tra l’acquisto diretto del bene immobile e quello realizzato

tramite la conclusione di contratti di leasing finanziario.

Il comma 15 dell’articolo 1 chiarisce che, le nuove disposizioni sono introdotte al fine “di

disciplinare il trattamento tributario del contratto di locazione finanziaria applicato al settore

immobiliare e di garantirne la coerenza con le disposizioni relative alle imposte di registro, ipotecaria

e catastale applicate per i trasferimenti operati con strumenti contrattuali diversi dallo stesso.

In base a detta circolare è applicabile l’imposta sostitutiva, del 2% da pagare entro il 31

marzo, in presenza di contratti di leasing immobiliari in corso al 1 gennaio 2011 anche in presenza

di impianti fotovoltaici censiti o da censire come opifici industriali considerando questi ultimi a

tutti gli effetti contratti di leasing immobiliare (36).

21

c) Iva

Al leasing immobiliare sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 10 n. 8 e 8-bis del d.p.r.

633/72 come modificato dalla l. 248/06 che ha reso necessaria l’opzione in contratto per

l’imponibilità ai fini Iva.

Se invece, il leasing verrà qualificato come mobiliare i canoni di locazione finanziaria di beni

diversi dai beni immobili costituiranno prestazioni di servizi imponibili ai sensi dell’art. 3 comma 2,

n. 1 del d.p.r. 633/72.

Prescinde dalla qualificazione di leasing immobiliare o mobiliare l’applicazione dell’aliquota

ridotta del 10% ai sensi dell’art. 127-quinquies della tabella A, parte III allegata al d.p.r. 633/72. La

tabella riconosce, infatti l’aliquota agevolata agli impianti di energia elettrica da fonte solare

fotovoltaica.

d) Imposta di registro, ipotecaria e catastale

Il d. l. 4 luglio 2006 n. 223 ha modificato, come noto, il regime iva del leasing degli immobili

strumentali. Le operazioni di cui all’art. 10, n. 8, 8-bis e 8-ter del d.p.r. 633/72 infatti, derogano al

principio di alternatività Iva/registro di cui all’art. 40 e sono soggette ad imposta di registro

proporzionale a prescindere dalla loro imponibilità ad Iva.

Pertanto:

– se il leasing di un impianto fotovoltaico sarà qualificato immobiliare, il contratto dovrà

essere registrato e sconterà l’imposta di registro pari all’1% sui canoni per tutta la durata dello

stesso ( art. 40 e 5-bis del d.p.r. 131/86).

– se il leasing, invece, avrà ad oggetto un bene mobile sarà assoggettato ad Iva ai sensi

dell’art. 3 del d.p.r. 633/72 e ad imposta fissa di registro.

La società di leasing, in sede di acquisto e cessione degli impianti se qualificati come

immobili strumentali, pagherà l’imposta ipotecaria e catastale rispettivamente, del 3% e dell’1%

del valore dell’immobile (37).

Per le cessioni derivanti dall’esercizio dell’opzione da parte dell’utilizzatore, le imposte di

registro, ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa ai sensi dell’art. 35, comma 10-ter 1, del

D.L. n. 223/2006, come inserito dall’art. 1, comma 15, lettera c), n. 2, della legge di stabilità.

e) Scorporo

Il D.l. n. 223/2006 convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, all’art. 36, comma 7 prevede

che “ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili, il costo complessivo dei fabbricati

22

strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di

quelle che ne costituiscono pertinenza”.

Con riferimento alla disciplina dello scorporo del terreno sottostante l’impianto acquisito

attraverso un contratto di leasing (o in proprietà) non assume rilievo la qualificazione mobiliare o

immobiliare del bene oggetto del contratto di leasing.

Infatti, ai sensi del citato art. 36 comma 7, lo scorporo sarà applicabile alle quote di capitale dei

canoni di leasing immobiliare, solo nei casi di impianto in corso di costruzione, limitatamente al costo

del terreno acquisito in proprietà (o diritto di superficie a tempo indeterminato) dalla società di leasing.

Pertanto, il costo dei fabbricati strumentali su cui calcolare le quote di ammortamento

deducibili, sarà assunto al netto del costo riferito alle aree occupate dalla costruzione e del costo

riferito alle aree pertinenziali.

La disciplina dello scorporo del terreno non sarà applicabile nei casi, peraltro poco frequenti,

di leasing su impianti già ultimati.

In caso, invece, di acquisizione del diritto di superficie a tempo determinato del terreno sui

cui insisterà l’impianto, non si dovrà effettuare lo scorporo ai sensi dell’art. 36, d.l. 223/2006 in

quanto è riconosciuta la deducibilità del costo del terreno per il superficiario (38).

7. Impianti fotovoltaici e tassazione ICI

In ambito ICI la distinzione tra piccoli e grandi impianti fotovoltaici può costituire un

elemento utile ai fini della qualificazione dell’impianto quale bene mobile o immobile.

Senza entrare nel merito di distinzioni tecniche possiamo sinteticamente distinguere le centrali

fotovoltaiche dagli impianti fotovoltaici di piccole dimensioni, in isola o connessi in rete (39).

Gli impianti di piccola dimensione posti su lastrici solari ad uso familiare non rientrano

nell’ambito della tassazione ICI, mentre per l’insieme di generatori di grandi dimensioni in grado di

produrre una elevata quantità di energia (cd.parchi fotovoltaici) si pone il problema della corretta

qualificazione come beni mobili o immobili.

Ai sensi dell’art 1 comma 2 del d.lgs. 504/92, infatti, il presupposto dell’ICI è il possesso dei

fabbricati. Il successivo art. 2 dispone che: “per fabbricato s’intende l’unità immobiliare iscritta o

che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano”.

È necessario precisare, tuttavia, che la nozione catastale di immobile suscettibile di

attribuzione di rendita è più ampia di quella di fabbricato ricomprendendo in detta nozione anche

le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite (art. 4 r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652)

23

La Corte costituzionale con sentenza n. 162/2008 ha chiarito, facendo seguito

all’orientamento della Corte di Cassazione, che per considerare il bene mobile incorporato

all’immobile non rileva il mezzo di unione, bensì l’impossibilità di separare l’uno dall’altro senza la

sostanziale alterazione del bene complesso. Inoltre, secondo la Consulta il mezzo di unione non

può essere più qualificato ai sensi del codice civile, ma bisognerà tenere conto dei mezzi utilizzati

secondo le esigenze tecniche alla luce dei progressi tecnologici (40).

Non possono essere considerati beni immobili e quindi non sono assoggettabili ad ICI quali

fabbricati, i manufatti che non sono compenetrati al suolo in modo da realizzare un unico bene

complesso, ma che possono essere separati senza perdere la loro funzionalità (41).

Pertanto, con riferimento agli impianti fotovoltaici di piccole dimensioni la connessione al

suolo non sembra, in linee generali produrre un cd. bene integrato in quanto i pannelli solari

anche se incorporati al suolo possono essere smontati e riposizionati in altro luogo senza perdere

la loro autonomia funzionale. Nel caso di piccoli impianti non vi è, quindi, un’unione dell’impianto

al suolo, tale da giustificare la qualificazione come bene immobile anziché mobile. Il terreno, in tal

caso, può costituire un supporto analogamente ad altre strutture (es. lastrici solari) (42).

In tal senso come chiarito in premessa, si è espressa l’Agenzia delle entrate evidenziando che

tra suolo ed impianto non vi è la connessione ed integrazione funzionale, in quanto l’impianto

fotovoltaico è costituito da pannelli solari che possono essere agevolmente rimossi e posizionati

altrove mantenendo inalterata la loro funzionalità.

L’Agenzia del Territorio con la risoluzione n. 3 del 6/11/2008 ha, invece, chiarito che i

pannelli fotovoltaici posizionati permanentemente al suolo sono assimilabili alle turbine delle

centrali idroelettriche e che gli immobili ospitanti gli impianti fotovoltaici sono da considerarsi

unità immobiliari. Secondo l’Agenzia del Territorio le centrali elettriche a pannelli fotovoltaici

devono essere accatastate nella categoria “D/1 – opifici” e nel calcolo della rendita catastale

devono essere inclusi i pannelli fotovoltaici. Secondo detta interpretazione i parchi fotovoltaici,

diversamente dai piccoli impianti, dovrebbero, quindi, essere assoggettati ad ICI.

Alla luce del contrasto tra l’orientamento dell’Agenzia delle entrate e quella del territorio in

merito alla corretta qualificazione degli impianti fotovoltaici, ed in attesa di ulteriori chiarimenti

ministeriali si ritiene che non sempre e necessariamente per tali beni si verifica quell’integrazione

al suolo come nel caso di centrali termoelettriche, realizzando così un bene complesso e che sarà

quindi probabilmente necessario verificare la grandezza e la portata degli impianti ai fini di un

corretto accatastamento e tassazione degli stessi.

24

In ultima analisi è necessario evidenziare che la più recente giurisprudenza di merito ha

esaminato casi in cui è stata avanzata la tesi (sebbene controversa) della funzione di pubblica

utilità degli impianti fotovoltaici, sostenendo un possibile accatastamento di detti beni come

fabbricati utilizzati per particolari esigenze pubbliche (E/3). Detta interpretazione è basata su una

generale ratio legislativa orientata verso norme agevolative. In tal caso gli impianti fotovoltaici

godrebbero ai fini ICI dell’esenzione prevista dall’art. 7 del d.lgs. 504/1992 (43).

7.1 I fabbricati rurali e l’ICI

Il d.lgs. 387/2003 all’art. 12 comma 7 prevede che la destinazione d’uso del terreno rimanga

agricola, da ciò si evince che gli impianti fotovoltaici non determinano necessariamente la

realizzazione di un bene complesso. L’impianto e il terreno dovrebbero mantenere inalterata la

propria autonomia funzionale, poiché sul suolo dovrebbe essere possibile continuare la

produzione agricola, almeno parzialmente (44).

È importante evidenziare, infatti, che se la produzione e la vendita di energia da fonti

fotovoltaiche viene qualificata nell’ambito del reddito agrario, mantenendo il terreno la propria

autonomia gli impianti dovrebbero essere qualificati nella categoria D10, che comprende i beni

destinati all’esercizio dell’impresa agricola, quindi rurali ed esenti da ICI (45). Gli imprenditori agricoli

dovrebbero, pertanto, richiedere l’accatastamento nella categoria catastale D/10 fabbricati

strumentali alle attività agricole così da poter considerare l’impianto non soggetto ad ICI (46).

7.2. La cessione del diritto di superficie e l’ICI

L’art. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 dispone che l’ICI è dovuta dal titolare del diritto di

superficie. L’articolo è stato così sostituito dall’art. 58 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446,

modificando la norma previgente secondo cui l’imposta era dovuta dal concedente con diritto di

rivalsa nei confronti del superficiario. A seguito dei numerosi contrasti giurisprudenziali è poi

intervenuta la Corte di Cass. con sent. 12 giugno 1999 n. 5802 che ha definitivamente sancito

l’obbligo di versamento a carico del superficiario.

Simone Ghinassi, Maria Pia Nastri, Giampiero Petteruti

_______________

1) Per i quali si rinvia in linea generale al relativo studio della commissione studi civilistici n. 221-2011/C.

2) Il contenuto tipo di un contratto di quest’ultimo genere è ben evidenziato nella prospettazione effettuata da un

contribuente in un interpello cui ha fatto seguito la risoluzione ministeriale n. 112/E del 2009. La fattispecie

25

individuata nell’interpello è infatti una proposta contrattuale avanzata dal proprietario del terreno aventi le

seguenti caratteristiche:

– la costituzione del diritto di superficie per una durata da definire ma compresa fra i 25 e i 30 anni;

– il diritto per il futuro superficiario di costituire ipoteca sul diritto di superficie a favore di eventuali istituti

finanziatori;

– l’obbligo del futuro superficiario, alla scadenza del diritto, di rimozione ed asporto dell’impianto e di rimessa in

pristino dei terreni;

– la facoltà per il futuro concedente di acquisire l’impianto all’estinzione del diritto di superficie a prezzo

“indennitario” determinato;

– l’integrale pagamento a favore del concedente del corrispettivo da determinarsi in sede di trattativa, in

funzione anche della durata del diritto medesimo.

3) È connaturato al concetto di servitù il requisito della predialità e cioè l’inerenza del diritto ai fondi servente e

dominante; quindi può parlarsi di servitù solo nei casi in cui l’imposizione del vincolo avvantaggi il titolare di altro

immobile. Da ciò deriva che la costituzione di servitù non è strumento normalmente idoneo a consentire

l’allocazione dell’impianto fotovoltaico su un fondo altrui, a meno che chi intenda installarlo non sia a sua volta

titolare di altro immobile al cui servizio tale impianto sia realizzato. Diverso è il caso in cui la fattispecie ricada

nelle servitù di elettrodotto, per le quali si rinvia alle ampie disamine circa la natura e la riconducibilità alla figura

civilistica della servitù prediale.

4) Cfr. il citato studio civilistico 221-2011/C e PUGLIESE, Superficie, in Comm. Scialoja – Branca, sub. art. 952, Bologna

– Roma, 1976, 585; GUARNIERI, La superficie, in Comm. Schlesinger, sub. art. 952, Milano, 2007, 71; CATERINA, I

diritti reali. Usufrutto, uso, abitazione, superficie, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2009,

202; SANFILIPPO, Istituzioni di diritto romano, Soneria Mannelli, 2002, p.247; BURDESE, Manuale di diritto

privato romano, Torino, 2000, p. 376.

5) Per le centrali elettriche la questione della natura e dei conseguenti obblighi di accatastamento delle turbine ha

formato oggetto di un contenzioso composto da ultimo dalla Suprema Corte con la sentenza 21 luglio 2006 n.

16824, nella quale si è ritenuto che le stesse (turbine) non possano essere considerate un mero macchinario,

bensì una componente inscindibile (e quindi immobiliare) della centrale elettrica, come tali da accatastarsi

unitamente alla centrale in categoria D/1 ed influente ai fini della determinazione della rendita catastale.

6) Muovendosi dunque nell’ottica dell’Agenzia delle entrate potrebbe dubitarsi, con riferimento ad un contratto che

pur le parti abbiano qualificato e strutturato come concessione di un diritto di superficie, la possibilità per

l’Agenzia di procedere alla riqualificazione dello stesso ai sensi dell’art. 20 D.P.R. 131/1986 come contratto

meramente obbligatorio, assimilabile ad una locazione, ove l’impianto non fosse ritenuto avere le caratteristiche

sopra evidenziate per poter essere considerato, ai fini che qui interessano, “bene immobile”. Il tutto in base a

valutazioni che comportano ampio margine di discrezionalità e che pertanto determinano notevole incertezze sui

costi fiscali dell’operazione, attese le diverse conseguenze impositive che da ciò vengono a determinarsi.

7) In tal senso si erano già espressi BUSANI-DE CANDIA, Anche il leasing del fotovoltaico paga la sostitutiva, in Il Sole-

24 Ore 7 febbraio 2011, 5 e lo stesso BUSANI, Ma ….. le Tour Eiffel è un bene mobile?, in Notariato 2011, 305 ss.

7bis) Per il riferimento a detto criterio quantitativo cfr. CORRADIN, Regime ICI degli impianti fotovoltaici, in Il Fisco

35/2010 e lo studio civilistico 221/2011 sopra citato.

8) Il fondo rustico è stato definito dalla dottrina tributaristica come “un terreno (con relativi fabbricati di pertinenza)

destinato o destinabile allo svolgimento di attività agricola” (cfr. BUSANI, L’imposta di registro, IPSOA, 2009,

876). V. peraltro, di recente, Comm.trib.prov. Lecce sez.I, 14.2.2011, n. 88, in Boll.trib. 2011, 889, che ha ritenuto

del tutto assimilabile la nozione di fondo rustico a quella di terreno agricolo.

9) L. n. 606 del 22.7.1966; L. n. 817 dell’11.2.1971; L. n. 203 del 3.5.1982; L. n.29 del 14.2.1990; d.lgs. n.228 del

18.5.2001. La legislazione speciale distingue tra affitto a coltivatore diretto, affitto a imprenditore agricolo

professionale e affitto a conduttore non coltivatore diretto e quindi pare dare rilievo solo al profilo oggettivo,

abbracciando nell’affitto tutti i contratti, indipendentemente dalla tipologia del conduttore.

9bis) Nello stesso senso la decisione della Comm. trib. prov. Lecce, citata alla precedente nota 8, secondo la quale, ai

fini della individuazione della nozione di “fondo rustico”, deve aversi esclusivo riguardo alla natura oggettiva del

fondo e non anche all’aspetto soggettivo relativo alla qualifica (di imprenditore agricolo) dell’affittuario.

10) Secondo la relazione al codice civile (n.686) il conduttore è sempre un imprenditore autonomo, ma la teoria

preferibile ammette che l’affittuario possa non assumere la qualifica di imprenditore: Cfr. CILLO, in Cillo-d’Amati26

Tavani, La locazione, Dei Singoli contratti, Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di G.Capozzi, vol.I, Milano,

2005, pag. 363.

11) La nozione di impresa agricola presuppone la distinzione dell’agricoltura imprenditoriale dal mero godimento

delle facoltà del proprietario o di chi ne abbia titolo, la quale distinzione, secondo la dottrina, è da ricercare nella

destinazione dei prodotti, la quale solo nell’impresa è rivolta al mercato (ROMAGNOLI, Voce Impresa agricola, in

Dig.Disc.Comm. Vol.VIII, Torino, 1992, pag. 84)

12) La norma così dispone: “Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione

di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonchè di carburanti ottenuti da

produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli

provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai

sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario”.

13) Cfr. al riguardo le seguenti pronunce della Suprema Corte. Sent. n. 10713 dell’11 maggio 2009 (ud. del 15 aprile

2009) della Corte Cass., Sez. tributaria – Pres. Magno, Rel. Bertuzzi Iva – Registro – Esenzioni – Terreni – Centri

sportivi – Sanzioni amministrative – Materia finanziaria – D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2 – D.P.R. n. 131 del 1986,

art. 40: “la presenza di un vincolo di destinazione di una zona ad attività sportiva, con attribuzione di un limite di

edificabilità minimo funzionale alla realizzazione di strutture collegate a tate destinazione. impedisce la

qualificazione di tale area come “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, dal momento che proprio la

sussistenza di tale vincolo preclude al privato tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono

riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.”

Sent. n. 20097 del 18 settembre 2009 (ud. dell’8 luglio 2009) della Corte Cass., Sez. tributaria – Pres. e Rel. Altieri.

“La possibilità di rilascio immediato di provvedimenti che consentono l’utilizzazione edilizia del terreno (oltre

tutto in seguito adottati dai competenti organi del Comune) fa sì che l’area deve considerarsi edificabile, sia pure

con riferimento ad interventi di natura particolare (impianti di distribuzione carburanti), ai fini dell’art. 2, comma

3, lett. c) del D.P.R. 633/72. Pertanto la sua cessione è soggetta ad I.V.A. e, conseguentemente, non soggetta ad

imposta proporzionale di registro, ai sensi dell’art. 40 del D.P.R. n. 131/86.”

14) L’articolo 36 comma 2 del DL 223 considera fabbricabile l’area “utilizzabile a scopo edificatorio in base a

strumento urbanistico adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e

indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi”, stabilendo che tale criterio vale ai fini :

del D.P.R. 633/72 (Disciplina dell’IVA),

del D.P.R. 131/86 (T.U. dell’Imposta di Registro)

del D.P.R. 917/86 (T.U. delle imposte sui redditi)

del d.lgs. 504/ 92 ( Disciplina dell’ICI).

15) V. retro nota 14.

16)Cfr. ris. 7 maggio 2002, n. 137/E, richiamata dalla ris. n. 54/E del 16 marzo 2007, che, in adesione a consolidato

orientamento giurisprudenziale, ha per l’appunto ritenuto che la cessione di un terreno edificabile appartenente

ad un’impresa agricola deve essere assoggettato ad Iva a condizione che il terreno sia stato precedentemente

destinato alla produzione agricola.

17) Salva forse l’ipotesi di locazione della copertura di un fabbricato rurale.

18) In effetti l’accertamento è abbastanza teorico in quanto, come è noto, non esiste un criterio fiscale (come

invece, ad esempio, per l’usufrutto) al fine di calcolare il valore del diritto di superficie in rapporto a quello della

piena proprietà. Ciò salvo che si ritenga di applicare analogicamente, quanto meno come valore minimo, quello

dell’usufrutto temporaneo.

19) Si ricorda al riguardo che il detto comma 8-bis non si applica alle sole unità abitative, bensì a tutte le fattispecie

che non rientrano nella successiva 8-ter; cfr. al riguardo BELLINI, FORTE, LOMONACO, Note riepilogative sul tema

delle cessioni di fabbricati effettuate da soggetti passivi IVA, studio 144-2007/T, in studi e materiali, 2007, 1132

ss.

20) Al riguardo è noto che l’amministrazione finanziaria si è da tempo pronunciata nel senso che tali debbano

ritenersi quelli accatastati nelle categorie B, C, D e A/10 (V. ris. 3.2.1989 n. 3/330, richiamata dalla più recente

circ. 4.8.2006 n. 27/E a commento del D.L. 223/2006 che ha introdotto la predetta esenzione.

21) Per tali conclusioni cfr. altresì risposta a quesito 157/2007/T in tema di plusvalenze immobiliari derivanti da

cessione di lastrico solare.

22) Trattandosi di cessione d’azienda l’operazione è infatti esclusa da IVA ai sensi dell’art. 2, 3 c., lett. b).

27

23) Sembra infatti di recente applicazione l’art. 4 n. 2, che prevede l’applicazione dell’aliquota del 4% per i fabbricati

strumentali, in quanto l’impianto fotovoltaico già realizzato sembra qualificarsi ontologicamente quale azienda. Si

ricorda al riguardo che la giurisprudenza tributaria non ritiene neppure al riguardo necessario l’esercizio attuale

dell’impresa tramite l’azienda ceduta, risultando sufficiente che i beni siano organizzati per il potenziale e futuro

esercizio (cfr. Cass. 30 gennaio 2007 n. 1913 e 13 maggio 2009 n. 10966, entrambe in banca dati fisconline).

24) La Corte Costituzionale si è pronunciata in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 76 del

D.P.R. n. 597/1973, attuale art. 67 del T.U.I.R., per violazione dell’art. 3 Cost.; l’art. 76 riteneva sussistesse

l’intento speculativo nelle vendite infraquinquennali di immobili precedentemente acquistati, senza ammettere

la prova contraria del predetto intento. Secondo la Corte l’acquisto e la successiva vendita nel quinquennio

costituisce, non una presunzione iuris et de iure, bensì una tipizzazione legale di comportamenti da cui è possibile

desumere l’intento speculativo.

25) Cfr. In tema di plusvalenze immobiliari Studi del consiglio nazionale del notariato n. 60/2006/T, 34/2006/T.

26) La Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. XLVI decisione,19 luglio 1997, n. 135, si è pronunciata sulla

valutazione, ai fini dell’imposta di registro, del valore del diritto di superficie ritenendo applicabile lo stesso

identico criterio dettato dalla norma per la valutazione dell’usufrutto. La scarna motivazione chiarisce che il

valore dell’immobile tendenzialmente assumerà un valore sempre più basso con l’avvicinarsi della scadenza del

termine di estinzione del diritto di superficie, imponendo di rispettare dei criteri analoghi a quelli variabili

determinati per l’usufrutto. Tuttavia, la tesi che il diritto di superficie possa essere assimilato all’usufrutto non

risulta sostenibile se ad esempio consideriamo che la costruzione su terreno concesso in superficie è fatta

dall’utilizzatore, il che appare sufficiente a differenziare il diritto di superficie dall’usufrutto.

27) In senso contrario M. LEO, Le imposte sui redditi nel testo unico, Giuffrè, Milano, 2006, pagg.137 e ss., che ritiene

i coorrispettivi scaturenti dal diritto di superficie inquadrabili tra i redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di

permettere di cui alla lett. l) dell’art. 67 (ex art. 81 del Tuir. Detta impostazione è stata criticata, in quanto i

redditi determinati dall’assunzione di obblighi sembrano invece ricollegarsi a diritti personali, piuttosto che a

diritti reali e nel caso di diritto di superficie si è certamente in presenza di diritti reali. Sul punto v. G. REBECCA,

Cessione del diritto di superficie e di costruzione in Fisco, 2008, pag. 1-51.

28) Cfr.Ris. Min. n. 77/20 del 12 gennaio 1993: “Con istanza del 3 gennaio 1992 – diretta anche a codesto Ispettorato

compartimentale – il Presidente pro tempore del Consiglio regionale della T. ha chiesto di conoscere se la

“concessione” in usufrutto trentennale di un immobile, posseduto da persona fisica non imprenditore né

professionista, da adibire a sede istituzionale dell’organo regionale, determina l’insorgere di redditi tassabili in

capo al nudo proprietario, ai sensi dell’art. 81 comma 1, lettera h), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, e

successive modificazioni. A parere dell’istante nella fattispecie in esame non si determinerebbe il presupposto

impositivo, configurato dal legislatore fiscale nella “concessione” di usufrutto, laddove per la normativa civilistica

l’usufrutto è “costituito” dalla legge o dalla volontà dell’uomo oppure può acquistarsi per usucapione. Al riguardo

si premette che, ai sensi dell’art. 9, comma 5, del D.P.R.22 dicembre 1986, n. 917, le disposizioni relative alle

cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano la costituzione di diritti reali di

godimento. Ne deriva che ai fini dell’imposizione tributaria diretta è del tutto irrilevante la questione posta in

ordine all’uso del termine “concessione”, dal momento che il presupposto impositivo preveduto dall’,art. 81

comma 1, lettera h) del D.P.R. n. 917/1986, si realizza in capo al cedente il diritto reale di godimento, dovendo

intendere il termine “concessione” adoperato in senso atecnico in riferimento a tutti gli atti giuridici aventi

l’effetto di trasferire ad altri la potenzialità reddituale di un immobile.

29) Cfr. M. BASILAVECCHIA, M. P. NASTRI, V. PAPPA MONTEFORTE, I trasferimenti aziendali: questioni aperte, Studio

n. 81/2009/T, in Studi e materiali n.3/2010.

30) Cfr. art. 30 L. 23 dicembre 1994, n. 724; sono poi intervenute numerose modifiche: art. 27 d.l 23 febbraio 1995 n.

41, art. 2 d.l. 8 agosto 1996, n. 437, art. 3 comma 37, l. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 35, commi 15 e 16 del d.l. 4

luglio 2006, n. 223 art. 1 commi 109 e ss., l. 27 dicembre 2006 n. 296.

31) Cfr. Comm. trib. Reggio Emilia, 22 luglio 2009, n.150 secondo cui: “L’articolo 176, comma 4, citato dispone che

“Le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui al presente articolo si

considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente Le

partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente…, in regime

di neutralità fiscale, si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i

beni dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio”

28

la norma fa riferimento non all’azienda conferita, tout court, ma ai beni dell’azienda conferita: ha dunque

ragione la Ricorrente quando sostiene che non và indagato, nel caso di specie, se il ramo d’azienda fosse già

esistente e, teoricamente, funzionante al 1 giugno 2004, ma se a quella data fossero già esistenti i beni che

andranno poi a comporlo al momento del conferimento; in fatto va affermato che tali beni certamente

sussistevano a quella data essendovi già l’autorizzazione alla vendita su medie e grandi superfici, i contratti di

appalto e di servicing per il lay out ed il merchandising, i permessi di costruire, le opere di urbanizzazione, e

l’immobile in corso di costruzione; in buona sostanza, al 1 giugno 2004 già esisteva, nel patrimonio della

Ricorrente, quel fondamentale nucleo di beni materiali ed immateriali costitutivo del ramo d’azienda conferito

tale da potersi ritenere soddisfatto il requisito di anzianità di cui all’176, comma 4, cit.”.

32) Cfr. Cass., sez. trib. sent. 12 maggio 1995, n. 5241, Ris. Ag. Entr. 9 aprile 2004, n. 56/E, secondo cui “si rende

applicabile il principio, affermato dalla consolidata prassi ministeriale secondo cui occorre fare riferimento al

coefficiente previsto per beni appartenenti ad altri settori produttivi che presentino caratteristiche similari dal

punto di vista del loro impiego e della vita utile.”

33) V. Circ. Ag. Entr. 46/E del 2007; per le centrali termoelettriche, esclusi i fabbricati è prevista l’aliquota del 9%, ai

sensi del D.M. 31 dicembre 1988

34) Cfr. Circ. Ag. Ter. 3/T del 2008 cit.

35) Cfr. Art. 102, comma 7 del Tuir.

36) Cfr. Circ. Ag. Entr. 11 marzo 2011, n.12/E che testualmente prevede: “Si precisa che rientrano nell’ambito di

applicazione dell’imposta sostitutiva anche i contratti di leasing aventi ad oggetto immobili ancora da costruire o

in costruzione e i contratti di leasing aventi ad oggetto immobili adibiti a cava. L’imposta deve essere, inoltre,

versata anche con riferimento ai contratti di leasing di impianti fotovoltaici censiti/da censire al catasto fabbricati

come opifici industriali (cat. D1).

37) Per gli atti stipulati dal 1° ottobre 2006 al 31 dicembre 2010 ai sensi dell’art. 35 comma 10-ter, del D.L.

n.223/2006, gli acquisti di immobili strumentali mediante contratti di locazione finanziaria, erano soggetti alle

imposte ipotecaria e catastale proporzionali, con aliquote ridotte al 50% rispetto a quelle previste per i

trasferimenti ad altro titolo, sia per l’acquisto del bene da parte della società di leasing (2%complessivo);sia nel

momento di esercizio del diritto di riscatto da parte dell’utilizzatore del bene (2% complessivo). Il contratto di

locazione finanziaria era poi soggetto all’imposta proporzionale di registro quale anticipazione delle imposte

ipotecaria e catastale dovuta in sede di riscatto, poiché il relativo ammontare era portato in detrazione

dall’ammontare di questi tributi. A seguito dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2011, tale regime di

riduzione a metà delle aliquote delle imposte catastali trova applicazione solo per le cessioni di immobili

strumentali, individuati dall’art. 10, comma 1, n. 8-ter del D.P.R. n. 633/1972, di cui siano parte fondi immobiliari

chiusi. Infatti, con l’entrata in vigore delle norme dettate dalla legge di stabilità 2011, l’acquisto dell’immobile

strumentale da parte della società di leasing le imposte ipotecaria e catastale sono applicate, ai sensi del

disposto dal “nuovo” comma 10-ter dell’art. 35 del D.L. n. 223/2006, in misura ordinaria, rispettivamente del 3%

e dell’1%, se la cessione rientra nel campo di applicazione dell’Iva, ovvero del 2% e dell’1%, se la cessione non

rientra nel campo di applicazione dell’Iva.

38) Cfr. Ag. Entr. Ris. n. 157/E 5 luglio 2007: “… omissis- Resta inteso che la deducibilità fiscale del costo sostenuto per

l’acquisto del diritto di superficie è ammessa nel solo caso in cui tale diritto sia costituito a tempo determinato. Di

contro, con riferimento al costo sostenuto per l’acquisto del diritto di superficie a tempo indeterminato, trova

applicazione la disciplina recata dall’art. 36, commi 7 e seguenti, del D.L. n. 223 del 2006, secondo cui “ai fini del calcolo

delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo

delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza”. Ciò in quanto si ritiene che l’acquisto

del diritto di superficie a tempo indeterminato sia sostanzialmente assimilabile all’acquisto in proprietà del terreno”;

Ag. Entr.Ris. n. 192/E 27 luglio 2007 Agenzia delle Entrate: Il diritto di superficie acquistato a tempo determinato

costituisce un costo per il superficiario che, a differenza di quello sostenuto per l’acquisto del terreno, deve

necessariamente concorrere al risultato di esercizio e, di conseguenza, risultare fiscalmente deducibile. Viceversa, si

ricorda che, con riferimento al costo sostenuto per l’acquisto del diritto di superficie a tempo indeterminato, trova

applicazione la disciplina recata dall’art. 36, commi 7 e seguenti, del D.L. n. 223 del 2006, secondo cui “ai fini del calcolo

delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo

delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza”. Ciò in quanto si ritiene che l’acquisto

del diritto di superficie a tempo indeterminato sia sostanzialmente assimilabile all’acquisto in proprietà del terreno.

29

Pertanto, qualora il diritto di superficie non abbia costituito oggetto di autonoma acquisizione, come nel caso

dell’acquisto della cosiddetta proprietà superficiaria, l’importo indeducibile del diritto di superficie di durata illimitata

dovrà essere determinato “in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell’anno di acquisto e quello

corrispondente al 20 per cento e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo”.

39) Per gli impianti di piccole dimensioni si fa riferimento agli impianti di potenza non superiore ai 20 Kw; cfr. Studio

Commissione studi civilistici n. 221/2011.

40) Cfr. Corte Cost. sent. n. 162 del 2008 e Cass., sez. trib., sent. 21 luglio 2006, n. 16824 in banca dati Fisconline.

41) Cfr. d. m. 2 gennaio 1998 n. 28, art. 3 comma 3 lett. f) in tema di norme di costituzione del catasto dei fabbricati

e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale, in cui viene precisato che sono

esclusi dalla inventariazione i manufatti precari, privi di fondazione e non stabilmente infissi al suolo.

42) Cfr. D. M. 19 febbraio 2007 art. 2 comma 1 lett. b); R. M. direzione generale del catasto, 13 dicembre 1993 prot.

746, con riferimento agli impianti di telefonia mobile viene esclusa l’assoggettabilità ad ICI dei ripetitori che non

costituiscono unità immobiliari urbane.

43) Cfr. Comm. trib. prov. di Bologna, 12 gennaio 2009, n. 11 secondo cui gli impianti di produzione di energia eolica

costituiscono opere di pubblico interesse e, dunque, suscettibili di essere ricompresi negli immobili destinati alla

categoria catastale E con conseguente esenzione dall’applicazione del prelievo ICI. Gli impianti eolici hanno il

carattere di bene di pubblico interesse e di pubblica utilità e sono quindi equiparati alle opere, dichiarate

indifferibili e urgenti, ai sensi della Legge 10/1991. Conseguentemente lavoro classificazione sarebbe nelle

categorie E, e precisamente E/3 o E/9, come precisato dalla circolare 2 del 14/03/1992 del Ministero delle

Finanze Direzione Generale Catasto. La categoria E comprende immobili esenti dall’ICI. La caratteristica degli

immobili destinati alla categoria E non è la non strumentalità ad attività d’impresa, ma è la speciale destinazione,

infatti ci sono immobili produttivi di reddito d’impresa accatastati in categoria E. Con la circolare 4 /2007

l’Agenzia del Territorio chiarisce che il discrimine tra le categorie D ed E non è la redditività, ma la destinazione.

Gli impianti eolici, pur produttivi di reddito d’impresa, svolgono una notevole funzione di utilità sociale,

concorrendo alla creazione di energia pulita, circostanza che consente di inquadrare il parco eolico nella

categoria E ;in tal senso anche Com. trib. Reggio Emilia, sent. 12 ottobre 2009, n. 106; Comm. trib. prov. Bologna,

sent. 2 dicembre 2009, n. 7; cfr. A.PACIERI, F. TRUTALLI, L’assogettabilità ad ICI delle centrali fotovoltaiche, in

Corr. Trib. 2009, p.1803.In senso contrario Comm. trib. prov. Foggia, sent.11 maggio 2007, n. 93 e C. CORRADIN,

Regime ICI degli impianti fotovoltaici, in Fisco 27 settembre 2010, n. 35.

44) Cfr. Ris. Ag. Entr.,28 aprile 2009, n.112 cit.

45) Cfr. Ris. n. 7-00505 del 16 marzo 2011, in banca dati Fisconline, Imponibilità a fini ICI dei fabbricati per i quali

ricorrono i requisiti di ruralità “omissis la normativa in materia di imposta comunale sugli immobili di cui al

decreto legislativo n. 504 del 30 dicembre 1992, all’articolo 2, comma 1, lettera a), definisce come fabbricato

soggetto l’imposta l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, escludendo

pertanto implicitamente dall’imposta stessa i fabbricati per i quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo

9 del decreto-legge n. 557 del 1993; la non esplicita esclusione dall’imposizione ICI dei fabbricati rurali ha creato

in passato un contenzioso, che sembrava risolto attraverso la norma di interpretazione autentica recata dal

comma 1-bis dell’articolo 23 del decreto legge n. 207 del 2008, la quale ha previsto che, ai sensi e per gli effetti

dell’imposta comunale sugli immobili, non si considerano fabbricati le unità immobiliari per le quali ricorrono i

requisiti di ruralità, come sopra definiti; successivamente la Cass. SS.UU., con sentenza n. 18565 del 21 agosto

2009, è intervenuta in materia, affermando che l’esclusione dall’ICI opera solo nel caso in cui il fabbricato rurale

sia classificato catastalmente nella categoria A/6, se fabbricato abitativo, o nella categoria D/10, se si tratta di

immobile strumentale, stabilendo altresì che l’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve

essere impugnata specificamente dal contribuente che ritenga il fabbricato non soggetto all’imposta in quanto

rurale, ovvero dal comune interessato, che dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al

fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta; omissis…”

46) In tal senso anche l’art. 1 comma 369 L. 27 dicembre 2006, n.296

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