Uno degli obiettivi del tavolo istituito dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile è quello di suggerire alla politica degli strumenti utili a riqualificare quel 12% di patrimonio immobiliare che fa capo alla proprietà pubblica, a cui corrisponde. secondo alcune fonti, il 19% dei consumi energetici.
L’individuazione degli strumenti finanziari idonei è un obiettivo da perseguire prioritariamente, soprattutto in tempi di gravi difficoltà economico finanziarie. E’ dunque meglio per i nostri enti pubblici disperdere risorse in combustibile, o creare meccanismi di premialità per chi investe e risparmia?
Credo che la risposta sia addirittura ovvia!
Occorre pertanto comprendere quale sia il meccanismo migliore per agire sui bilanci degli enti pubblici in modo da innescare un meccanismo virtuoso per la riqualificazione dei fabbricati, generando anche una valorizzazione del mercato dell’edilizia oggi in crisi.
I principi cardine sui quali si basa la proposta che qui di seguito intendo articolare sono i seguenti:
1) Il risparmio energetico è la prima fonte di investimento da utilizzare nel meccanismo, ma esperienze concrete dimostrano che per intervenire sull’involucro edilizio con tempi di ritorno accettabili (12-15 anni) è necessario disporre di un capitale iniziale di circa il 30-40% dell’investimento. L’utilizzo del Finanziamento Tramite Terzi può coprire il restante 60-70%.
2) Gli enti pubblici soggetti al patto di stabilità, anche qualora dispongano di fondi accantonati per investimenti, sono soggetti al vincolo di spesa, per cui non possono attivare tutti i progetti possibili. E’ indispensabile definire la questione energetica come prioritaria, svincolando i fondi disponibili se destinati a opere di efficientamento della struttura edilizia.
La proposta dunque consiste nell’obbligare gli enti pubblici a istituire nel proprio bilancio un fondo vincolato all’efficientamento energetico, da alimentare con una percentuale della spesa energetica relativa all’esercizio precedente, non inferiore, a mio avviso, a circa il 10%.
Tale fondo dovrebbe poter essere alimentato anche con avanzi di amministrazione, escludendo gli investimenti dal calcolo del patto di stabilità.
In terzo luogo la spesa di questo fondo non dovrebbe coprire più del 40% del capitale occorrente per le opere di riqualificazione da appaltare, obbligando a disporre il restante 60% o più in conto energia con piani di ammortamento compresi tra 10 e 15 anni.
In quarto luogo, il calcolo della percentuale di accantonamento può escludere quelle parti del proprio conto energia che fanno riferimento all’ammortamento di interventi di efficientamento già effettuati.
Infine, per gli immobili pubblici destinati alla locazione, la quota di ammortamento deve poter essere considerata a tutti gli effetti una spesa a rimborso a carico degli inquilini (valutando se applicare il 10% sugli inquilini stessi), mentre per gli enti pubblici che sono in locazione presso soggetti privati, vi dovrebbe essere l’obbligo dei soggetti privati a partecipare all’ammortamento degli interventi richiesti dall’amministrazione pubblica, per una quota non inferiore al 40% dell’investimento totale, in presenza di un’adeguata durata del contratto di locazione. Nel caso avvenga la locazione tra soggetti entrambi pubblici dovranno ovviamente essere stabilite delle norme specifiche.
Ho dunque suggerito l’istituzione di questo fondo di efficientamento energetico in capo ad ogni amministrazione (FEE). Ma cosa rappresenta il 10% della spesa energetica dell’ente? Innanzitutto rappresenta il 25% della spesa energetica complessiva delle amministrazioni pubbliche, immaginando l’intervento delle Esco.
Ma quanto tempo occorre perché i fondi dispongano di una somma tale da poter essere investita?
La questione è piuttosto complessa ed articolata in funzione dell’area geografica in cui si trova il fabbricato, sulla condizione di partenza del fabbricato stesso ecc.. Occorre, per semplicità, ragionare su dei casi scuola, e qui intendo dunque proporne uno.
Per ridurre del 50% i consumi di un edificio costruito negli anni ’70 , situato in zona climatica E, occorrono circa 200 €/m2. Questo fabbricato costa energeticamente circa 20 €/m2 all’anno. Per raggiungere l’obiettivo del 50% di risparmio energetico occorre dunque che l’amministrazione investa 80€/mq e la Esco investa 120€/mq con un contratto di gestione di 12 anni. Accantonando il 10% ogni anno sui 20 € di costo energetico si hanno 2 €/anno, per cui sarebbero necessari 10 anni di accantonamenti per operare l’investimento che riduce del 50% il consumo iniziale. E’ vero però che dopo 5 anni è possibile operare un investimento che riduca i consumi del 25%. La situazione è indubbiamente meno favorevole per le altre fasce climatiche.
Questa impostazione si presta infine alla creazione, attraverso i versamenti del 10%, di fondi comuni tra gli enti pubblici, fondi specifici per l’efficientamento degli edifici. La creazione di fondi comuni potrebbe creare un ulteriore strumento per la garanzia finanziaria alle ESCO che operano nella filiera a servizio delle amministrazioni e potrebbe garantire una minima remunerazione agli accantonamenti. Gli stessi fondi comuni, immaginati come fondo rotativo, potrebbero erogare i finanziamenti per la quota delle ESCO, unitamente al sostegno delle istituzioni bancarie tradizionali.
In conclusione, credo che in questa fase di grande difficoltà generale della finanza pubblica, sia più corretto immaginare meccanismi di risparmio forzato, piuttosto che imporre delle spese, in modo che si generi, come conseguenza di questo risparmio iniziale, il successivo risparmio energetico.
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